La situazione del popolo Mapuche (“popolo della terra”) in Cile è molto complessa e delicata. Come popolo originario, i Mapuche hanno diritto al riconoscimento e al rispetto della loro identità culturale, della loro lingua, delle loro tradizioni e della loro storia. Tuttavia, quest’ultima è stata segnata da sempre da conflitti con lo Stato cileno e dalle politiche di assimilazione a cui questo popolo è stato sottoposto.
Da secoli i Mapuche, l’unico popolo originario in Cile ad essere riuscito a resistere all’invasione da parte dei colonizzatori spagnoli, sono in lotta per il recupero e la rivendicazione del territorio che gli spetta di diritto. Il conflitto principale riguarda, in particolare, il controllo e la gestione del wallmapu (“tutto il territorio Mapuche”), ricco di risorse naturali. Le società di estrazione di tali risorse e le multinazionali hanno spesso ignorato i diritti dei Mapuche sulle loro terre, portando ad una serie di scontri e proteste. Allo stesso tempo, le politiche di sviluppo economico, di modernizzazione e omogeneizzazione ad uno standard europeo e occidentale dello Stato cileno hanno trascurato le esigenze e le richieste del popolo Mapuche, portando ad una serie di disuguaglianze sociali ed economiche.
All’interno di questa cornice troviamo nel sud del Cile, a Pargua, nella provincia di P.to Montt, quattro imprese (norvegesi e danesi) che producono mangime per i salmoni. Si tratta di impianti installati nei primi anni 2000, che hanno danneggiato l’ecosistema e l’ambiente circostante con il continuo rilascio di gas, vapori e liquidi oleosi, contaminanti sia per la flora che per gli abitanti del posto.
La deforestazione del territorio e la conseguente costruzione di imprese hanno avuto effetti negativi sull’ecosistema locale, incluso il prosciugamento dei fiumi e, quindi, ad una diminuzione della quantità di acqua disponibile.
Oltre all’impatto ambientale forte che sta avendo tutto questo, un’altra preoccupazione che ha la comunità riguarda la poca trasparenza e chiarezza da parte degli impresari e delle autorità locali del paese nei confronti degli impatti ambientali delle fabbriche. Infatti, inizialmente, data la limitata mobilità e il lavoro nel campo, gli abitanti non hanno avuto la possibilità di vedere quello che stava succedendo al di là della piccola collina vicina alla zona in cui vivono. Pare che solo une delle quattro imprese sia stata più trasparente con la comunità. Questa si è appellata alla cosiddetta VAS (Valutazione Ambientale Strategica: processo che valuta gli effetti dello sviluppo di programmi e piani territoriali, analizza il territorio nel suo insieme, dà un quadro più completo e pone attenzione anche all’opinione della popolazione del posto). Le altre imprese, invece, hanno optato la VIA (Valutazione dell’Impatto Ambientale: utilizzata nella fase di progettazione e che mira a valutare l’incidenza delle singole opere e progetti su un territorio). In quest’ultimo caso gli abitanti non vengono a conoscenza di tutto il processo, e per questo motivo la comunità ha presentato, 15 anni fa, un’istanza alla Commissione Interamericana dei diritti umani, per la quale sta tutt’oggi aspettando risposta.
Intanto, l’ambiente circostante si sta piano piano deteriorando e distruggendo a causa delle sostanze nocive che ogni giorno vengono rilasciate nel fiume, nel bosco e nel mare. La lotta mapuche in questa zona sta faticando a raggiungere dei risultati importanti perché oltre allo scontro con le imprese e lo Stato, sordi alle loro proposte, vi sono dei contrasti anche con alcune famiglie della comunità che lentamente si stanno muovendo in direzione di una negoziazione con le imprese. Anche i mezzi tramite cui comunicano le proprie esigenze e manifestazioni sono limitati poiché, nel tempo, il giornale a cui si appellavano ha intrapreso una politica opposta alla loro. La lotta della comunità, però, continua nonostante gli ostacoli. Nel 2008 grazie alla Legge mapuche-lafkenche (Ley n. 20.249 che rivendica il riconoscimento e la protezione dei diritti territoriali della costa), ha permesso di costituire ufficialmente la comunità indigena del luogo. Grazie a questo riconoscimento, la comunità ha organizzato per 15 anni consecutivi un evento culturale e musicale che ha aiutato a recuperare un terreno che sarebbe stato destinato a diventare parte del porto. In questo modo, è stato possibile preservare gli usi indigeni dello spazio costiero marittimo e amministrarlo in modo autonomo dalla comunità stessa.
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