Il nostro servizio civile in Sierra Leone ha coinciso con un anniversario importante per la vita di questo paese affacciato sulle coste dell’Oceano Atlantico: i 30 anni dallo scoppio e i 20 anni dalla fine di una guerra civile che ha causato circa 70 mila morti e più di 2 milioni di sfollati. Una guerra che ha radici antiche, risalenti al 19° secolo, quando nel paese si è andata creando un’interazione tra comunità indigena, schiavi africani e colonizzatori inglesi e che molteplici cause: colonialismo, diamanti e marginalizzazione dei giovani. Nel 1999 fu firmato in Togo l’Accordo di Lomé, ma solo nel 2002 il conflitto si poté dire definitivamente concluso.
Se la guerra aveva visto un grande coinvolgimento della società civile (compresi 10mila bambini soldato) questa si rivelò fondamentale anche nella ricostruzione della nazione. Le protagoniste del processo di pace della Sierra Leone furono: la Commissione per la Verità e la Riconciliazione, attiva dal 2002 al 2004, e la Corte Speciale per la Sierra Leone, attiva anch’essa dal 2002.
Il lavoro della Commissione si svolse su tre direttrici: ricordare, ricostruire, reintegrare. Di questo intenso lavoro ne abbiamo parlato con Yasmin Jusu-Sherif, segretario esecutivo della Commissione. «Nella maggior parte dei casi» ci dice «la storia è raccontata dai vincitori, dai ricchi, ma la Commissione ha invitato a parlare anche coloro che normalmente sono costretti dal sistema a tacere. Per i sopravvissuti che non erano stati ascoltati o consultati, parlare ha dato molta forza mentre, per il resto della società, alcune delle storie hanno avuto un effetto notevole. Uno dei problemi emersi quando viaggiavamo attraverso il Paese era che le persone avevano fame di riconciliazione.»
Quando le domandiamo quali lezioni si possono imparare dalla Commissione, ci risponde: «È stato positivo per la gente poter essere ascoltata e vedere un certo livello di responsabilizzazione politica. Dal punto di vista dei diritti delle donne, ad esempio, abbiamo sollevato la questione della violenza e degli abusi di genere e incoraggiato le donne ad affrontare il problema. La loro posizione è migliorata notevolmente dalla fine della guerra. Da un punto di vista più negativo, una delle cause maggiori della guerra riguarda la mancanza di responsabilità politica e dell’impossibilità dei cittadini di controllare l’operato dei propri leader. Penso che la Commissione non sia riuscita a ridefinire la relazione tra coloro che governano e coloro che sono governati. La Commissione ci ha dato l’opportunità di capire che il percorso democratico e nonviolento è di gran lunga l’approccio migliore.»
Un ruolo importante nel processo di pace l’ha avuto la chiesa cattolica. Ce lo racconta padre Joseph A. Turay, vicerettore dell’Università di Makeni (la città nella quale abbiamo svolto il nostro servizio civile).
«Negli anni precedenti la guerra in Sierra Leone, Papa Giovanni Paolo II chiese a tutti i vescovi del mondo di creare delle commissioni al fine di promuovere la pace. Io sono stato un membro della Commissione Pace, Giustizia e Diritti Umani fondata a Makeni con l’obiettivo di rafforzare la pace nel Paese e sensibilizzare sul tema della giustizia. Prima dell’inizio del conflitto in Sierra Leone c’erano evidenti segni di ingiustizia politica, lo Stato era molto fragile e non era in grado di garantire servizi efficienti ai propri cittadini. Queste problematiche accesero le rivolte dei ribelli contro il Governo: ci si rese conto che la guerra in Sierra Leone sarebbe stata vicina.» «I vescovi si esponevano denunciando le ingiustizie e le molte cause che hanno portato al collasso dello Stato e allo scoppio della guerra civile. Monsignor Biguzzi [missionario saveriano italiano che è stato vescovo di Makeni dal 1987 al 2012] ha avuto un ruolo centrale nel far emergere in modo chiaro le problematiche interne al Paese e prese anche parte al processo di mediazione tra ribelli e Governo».
Finita la guerra che cosa è successo? Continua p. Turay: «Si iniziò a lavorare per la costruzione della pace e la Commissione fu un strumento fondamentale. Dapprima ci siamo occupati del ritorno delle persone nelle proprie abitazioni, a Makeni: molti infatti avevano trovato rifugio in Guinea. Il ritorno dei rifugiati, che avevano perso tutto con la guerra, richiedeva un’azione strutturata. Un altro intervento chiave della Commissione fu la riconciliazione. Anche Caritas Italiana ebbe una parte importante nel progetto di disarmo degli ex combattenti, molti progetti sul tema furono implementati anche grazie ai volontari in servizio civile. La Commissione, con il supporto di Caritas Italiana, si occupò anche della transizione democratica e delle elezioni.»
Sono passati 20 anni dalla fine della guerra ma molte delle cause che la provocarono permangono, almeno fin quando non saranno stabili i presupposti che prevengano nuovi conflitti violenti: democrazia, sviluppo umano e sociale, disarmo.
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