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Caschi Bianchi Cile

Recuperando il proprio Paradiso

La lotta quotidiana delle comunità Mapuche per recuperare i territori dove i propri antenati sono nati e vissuti e veder riconosciuti i propri diritti territoriali, socio-culturali, ambientali ed economici.

Scritto da Carlo Mazzoleni, Casco Bianco in Servizio Civile con Apg23 a Valdivia

Due ore di viaggio da Valdivia, tra strada sterrata e traghetto, ci hanno condotto all’ingresso del “Fundo Punta Galera” (presso la località di Chaihuín, regione di Los Rios), un latifondo privato che da poche settimane è stato “recuperato” dalla comunità Mapuche Lonko Pablo Nauco. Davanti all’ingresso sventola una bandiera Mapuche, e uno striscione annuncia l’iniziativa di recuperazione territoriale messa in atto dalla comunità: il catenaccio che blinda il portone di accesso sembra voler trasmettere il messaggio “qua non entra più nessuno”. La comunità è molto sospettosa perché teme che i “proprietari” del latifondo o la polizia possano mettere in atto azioni per farli tornare sui loro passi. Il nostro ingresso al territorio è stato permesso dal contatto precedentemente stabilito con il werken (portavoce).

Attraversato una strada sterrata circondata da un lato da una ricca vegetazione di eucalipti e dall’altro dalla potenza dell’oceano Pacifico e da spiagge vergini, giungiamo dunque a conoscere la comunità. Dopo varie strette di mano e un giro di presentazioni più approfondite, i membri della comunità hanno iniziano a raccontarci la loro storia delle loro famiglie e delle loro terre ancestrali.

Il territorio su cui ci troviamo – da sempre abitato da comunità mapuche Lafkenche (della costa) – venne donato nel 1922 dallo Stato cileno ad una nobile francese, che non si interessò mai della questione e mai mise piede sulla “sua terra”: la cessione del terreno non comportò quindi alcuna conseguenza per la vita della comunità indigena. La situazione cambiò drasticamente quando ad inizio anni ’90 il fondo venne acquistato da un imprenditore spagnolo attivo nel settore forestale, José “Coño” González: il nuovo proprietario avviò una coltivazione intensiva di eucalipto – pianta non autoctona ed invasiva, che ha alterato gravemente l’ecosistema della zona – e scacciò violentemente le famiglie mapuche Railaf e Nauco, le cui case vennero bruciate. Iniziarono per queste famiglie anni di “esilio” ma con sempre nel cuore il ricordo della loro terra in cui erano nati, terra che per i Mapuche è un vincolo spirituale.

Dopo oltre vent’anni, le stesse famiglie hanno ripreso possesso, attraverso una recuperazione territoriale iniziata il 2 marzo, delle terre dei propri antenati, stanziandosi nei pressi dei resti delle vecchie case bruciate, dove vari membri della comunità sono nati e cresciuti prima di essere costretti a trasferirsi nelle vicine località di Corral e la Uniòn. Nel frattempo, da una decina di anni la proprietà del fondo è passata a quattro imprenditori cileni, che lo hanno adibito a destinazione turistica di lusso costruendovi varie ville, un campo da golf ed un piccolo aeroporto privato.

Il werkén Hernaldo Nauco ci spiega anche che ancor prima di procedere con l’occupazione fisica delle terre è stato avviato un procedimento presso la Corporación Nacional de Desarrollo Indígena (CONADI), l’ente statale che si occupa delle questioni territoriali indigene. La comunità chiede il riconoscimento dei propri diritti territoriali e socio-culturali, e l’iscrizione del territorio ancestrale occupato nel Registro Público de Tierras Indígenas: la richiesta si basa su un documento del 1947 in cui gli allora proprietari francesi riconoscevano come il fondo di Punta Galera coincidesse la terra ancestrale – Futa Palihue – della locale comunità indigena mapuche.

Nell’attesa dei lunghi tempi burocratici per ottenere la formale restituzione delle proprie terre da parte dello Stato, i membri delle famiglie Railaf e Nauco affermano di volere rimanere sulle terre recuperate, contando con il sostegno di numerose altre associazioni e comunità Mapuche nonché di organizzazioni per i diritti umani che seguono la vicenda.

Nelle settimane scorse si è svolta anche una cerimonia religiosa attorno al rewe, (una specie di altare) in cui è intervenuta la machi (autorità religiosa) e molte altre comunità.

La comunità ha mostrato di essere aperta al dialogo con i proprietari del fondo e le autorità pubbliche competenti – con cui ci sono stati degli incontri – reclamando però fermamente il pieno riconoscimento ed il rispetto dei propri diritti territoriali, socio-culturali, ambientali ed economici, tutelati sia dal diritto cileno che internazionale.

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