“Per qualche tempo ti sentirai a disagio nel tuo nuovo mondo. Ci si sente sempre disorientati quando si viene sbalzati fuori dal proprio angolino rassicurante. Ma spero che tu sia un po’ elettrizzata. Il tuo viso quando sei tornata dall’immersione mi ha detto tutto: c’è fame in te Clark. C’è audacia, l’hai soltanto sepolta, come fa gran parte della gente. Non ti sto dicendo di buttarti da un grattacielo o di nuotare con le balene o cose di questo genere, ma di sfidare la vita. Metticela tutta. Non adagiarti. Indossa quelle calze a righe con orgoglio […]. Vivi bene. Semplicemente, vivi”. Will in “Io prima di te”, di Thea Sharrock.
Forse è stato un caso che io abbia proprio visto questo film sull’aereo prima di atterrare in Kenya. Forse è stato un caso che dopo aver aspettato per due anni di partire per il Madagascar, io sia finita qui in Kenya. Forse è stato un caso che poi mi sia tornato in mente questo discorso di Will a Clark nella mia prima settimana ad Aina, in Kenya. Forse è stato un caso…o semplicemente doveva andare così.
Dovevo essere qui, ora, in questo momento e dovevo vivermi ora quello che di bello questa terra mi sta dando. Dovevo vivermi le risate tutti insieme con i bambini, le risate tra di noi, la semplicità dell’incontro con l’altro. Dovevo vivermi tutti i colori: il rosso della terra, il marrone delle montagne, il verde di tutti questi alberi e il blu di questo cielo, che sembra così diverso, e invece è lo stesso.
Ma dovevo, anche, vivermi le difficoltà dei primi giorni, le contraddizioni, le mille domande che ti vengono in mente quando ti sposti da un luogo all’altro, da una terra all’altra, da un ambiente all’altro, semplicemente quando c’è un cambiamento. È la curiosità della natura umana che ci suscita delle domande, “è umano, troppo umano”, direbbe il grande filosofo Nietzsche. Dovevo darmi tempo, però. Il tempo di accettare che può non essere tutto così facile dall’inizio, ma che poi con il tempo migliora, che poi inizi a sorridere, poi a ridere e poi è un attimo che non te ne vuoi più andare. Qualcuno lo chiamerebbe amore, ma in fondo che cos’è l’amore, se non è un legame?
Dovevo darmi il tempo di capire che siamo diversi, ma che nessuno si deve imporre sull’altro e che si può convivere facendo dei compromessi. Dovevo essere qui, in questa calda serata di novembre, seduta al tavolo nella casa dei volontari, a scrivere sul mio diario della mia esperienza di un Servizio Civile Universale e di essere una dei tanti Caschi Bianchi.
Perché alla fine, non è stato per niente un caso: è una scelta di valore.
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