20 febbraio 2020, inizio del mio anno come Casco Bianco – 20 febbraio 2021, fine di questo anno pieno di emozioni, riflessioni e condivisione.
Un anno strano, un anno caratterizzato da una pandemia globale, un anno in cui la solidarietà internazionale è diventata fondamentale per: “leave no one behind“. Il mio periodo come casco bianco è iniziato con una bellissima formazione, interrotta bruscamente dall’avvento del Covid. Nel giro di qualche ora dopo 4 giorni di conoscenza dei nuovi ragazzi Caschi Bianchi mi sono ritrovata su un treno direzione casa… I pensieri erano tanti, positivi, fin troppo positivi e tutti speravamo/eravamo quasi certi che dopo poco avremmo potuto rivederci e finire il nostro percorso di conoscenza per partire poi per le nostre mete.
Purtroppo non è stato così, 5 mesi in smartworking (per fortuna il mio progetto mi ha permesso di fare questo), 5 mesi di zoom e di non condivisione e poi… E poi la bellissima notizia, si poteva partire per Ginevra, si poteva partecipare al Consiglio dei Diritti Umani in presenza, avrei potuto scrivere degli statement e avrei potuto addirittura parlare al Consiglio. L’emozione di quella giornata è stata davvero indescrivibile, mi sentivo nel posto giusto al momento giusto e stavo facendo la cosa giusta. Stavo portando avanti la voce di chi non ha voce, la voce dei più vulnerabili delle persone che durante la pandemia stavano soffrendo più di me. Bambini donne anziani e migranti che hanno subito duramente le conseguenze del Covid. E poi? E poi sentire che finalmente ci si stava muovendo per accrescere la solidarietà internazionale e che solo insieme potremo sconfiggere questa pandemia.
Le emozioni positive hanno poi lasciato spazio a quelle più cupe, un nuovo lockdown in Francia (dove vivevo con i miei compagni di avventura) e nuovi collegamenti web e gli eventi delle Nazioni Unite tutti online.
Ed infine… L’ultimo mese, il più difficile, il più inaspettato il più folle, il più divertente e di vera condivisione. Il mese alla Capanna di Betlemme di Rimini, una struttura che accoglie senza fissa dimora. Le storie degli accolti mi hanno completamente pervasa e mi portano spesso a riflettere. 20 persone tutti uomini per la maggior parte ex tossico dipendenti o alcolisti che tutti i giorni cercano di affrontare la vita e di scacciare i fantasmi del loro passato. Non è sempre facile, ogni tanto ci ricadono, il richiamo delle sostanze è troppo forte o più semplicemente la libertà della strada, il fatto di non dover rendere conto a nessuno di quello che si fa lì porta ad andare.
I volontari della Capanna, come se questi ragazzi fossero i loro figli, cercano sempre di raccoglierli, di farli sentire a casa e amati, non giudicati per il loro passato, per i loro sbagli e le debolezze. Vorrei poter descrivere ogni loro storia per poter farvi capire cosa sto vivendo ma solo passando dalla Capanna credo si possa capire questo luogo e le storie che racchiude. In questo ultimo periodo ho accompagnato accolti a prendere la dose di metadone, ho accompagnato un signore agli arresti domiciliari a correre, ho cercato di dare il meglio di me per far sì che queste persone si sentissero finalmente a casa. E loro allo stesso tempo hanno dato tanto a me. Gigi, uno degli accolti, mi ha detto una frase che mi ha molto colpito: “Le persone come me non hanno paura di morire hanno paura di vivere”. Ecco vorrei che questa frase potesse cambiare un giorno, vorrei che tutti i volontari della capanna possano far sentire talmente amati gli accolti da poter permettere loro di vedere la vita come un’emozione che vale la pena di vivere ogni giorno.
Ed eccomi qui sul treno di ritorno per casa intimorita dal fatto che dopo un mese con 20 persone sarà strano tornare a vivere una vita solo con mamma e fratello e contenta del fatto che mi porterò nel cuore questo anno, gli incontri fatti, le cose imparate e le emozioni vissute.
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