Margherita, Martina, Stefania e Domenico hanno partecipato al progetto “Legalità, inclusione e diritti per contrastare e prevenire dinamiche violente e criminali in Albania” con Engim. Le aree di ricaduta delle attività sono state la città di Fier e i villaggi di Drize e Zhupan.
Contesto del conflitto
La marginalizzazione di donne, disabili e minoranze come l’intera comunità rom si riflette spesso in una vera e propria esclusione dal sistema educativo e dai servizi di orientamento. La ghettizzazione di queste categorie, sia dovuta all’impossibilità di uscire dalla propria casa e di frequentare ambienti aggregativi, sia determinata dal confinamento all’interno di aree urbane delimitate (come i villaggi rom), preclude la possibilità di avere accesso alle informazioni riguardanti i loro diritti e i servizi già a disposizione sul territorio riguardanti, ad esempio, assistenza sanitaria, accesso ad aiuti pubblici, centri di ascolto e autorità giudiziarie. Per questo le attività di sensibilizzazione e la produzione di materiale informativo risultano necessarie al fine di scardinare il primo grande ostacolo che queste categorie affrontano: la scarsa consapevolezza dei propri diritti.
Un episodio dal campo
Per nove mesi abbiamo vissuto a Fier, una città industriale dall’aria irrespirabile, che di bello ha poco. Eppure Fier è diventata la nostra casa, il nostro quotidiano, ma a causa della pandemia la nostra esperienza lì si è interrotta bruscamente. Trovare un solo evento significativo di questi mesi risulta difficile, perché abbiamo vissuto a 360 gradi, ci siamo lasciati coinvolgere da un contesto e da una cultura diversa e spesso contraddittoria, ci siamo rapportati con la gente del posto cercando di costruire legami. Forse il rapporto più forte e allo stesso tempo più conflittuale è quello che abbiamo costruito con la popolazione rom del villaggio di Drize, in particolare con i bambini con cui abbiamo passato mattine e pomeriggi interi. Tra lezioni, compiti e giochi, siamo entrati nel loro mondo in punta di piedi. Con loro abbiamo riso, scherzato ma ci siamo anche scontrati. La vera sfida è stata far capire loro l’importanza di andare a scuola e di avere un’educazione, ma anche renderli consapevoli che i loro diritti sono uguali a quelli di tutti. Una mattina, andando in ufficio, abbiamo visto due sorelline con il loro cuginetto che chiedevano l’elemosina per strada. Così ci siamo fermati a parlare con loro e gli abbiamo chiesto per quale motivo da qualche giorno non venivano a scuola. La gente intorno ci fissava, qualcuno scuoteva la testa in segno di disapprovazione. Questo non è certo un episodio particolare, anzi, è qualcosa a cui tutti eravamo abituati, ma testimonia quanto lunga sia ancora la strada da fare. Siamo consapevoli, infatti, che eliminare del tutto questi atteggiamenti di indifferenza o di giudizio sia impossibile, ma è necessario continuare a sensibilizzare le famiglie e le istituzioni albanesi sul tema delle minoranze, sulla parità di diritti e sulla diffusione della conoscenza della cultura rom. È necessario continuare a parlare di diversità e di politiche nazionali di integrazione.
Evoluzione del conflitto
Nel contesto delineato, la discriminazione nei confronti della popolazione rom, che da sempre rimane una popolazione vulnerabile e discriminata non sembra diminuire. L’emergenza Covid -19 ha sottolineato ancora di più il conflitto socio-culturale presente in Albania (e a Fier nello specifico). La comunità Rom si trova ad affrontare numerosi rischi per la salute, la privazione economica e il consequenziale aumento della stigmatizzazione. Considerato che la principale fonte di guadagno dipende dal lavoro quotidiano o occasionale nel settore informale, in questo contesto attuale molti Rom hanno perso le loro fonti di reddito e si trovano di fronte a un accesso ridotto alle prestazioni sociali e ai servizi di base.
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