1° Gennaio 2019, in una nazione che presenta, secondo i dati della Banca Mondiale, il 4,9% di abitanti, ovvero 20 milioni di persone, che vive con meno di 1,90 dollari al giorno (soglia d’ingresso della “povertà estrema”), viene eletto presidente del Brasile Jair Messias Bolsonaro. Figura dichiaratamente di estrema destra e apprezzatore della dittatura militare, è noto ai più per le dichiarazioni controverse nei 18 anni precedenti come deputato: “Non voglio combattere né discriminare, ma se vedo due uomini che si baciano per strada, li picchio violentemente” (intervista del 2002); “Sarei incapace di amare un figlio omosessuale. Preferirei morisse in un incidente piuttosto che presentarsi con un tipo con i baffi” (intervista alla rivista Playboy, Giugno 2011); “Con il voto non cambierà mai niente in Brasile, le cose cambieranno solo quando partiremo una guerra civile e faremo il lavoro che il regime militare non ha fatto, cioè uccidendo 30.000 persone cominciando da H. Cardoso (ex presidente del Brasile), se morirà qualche innocente non fa niente, in ogni guerra muoiono innocenti” (al programma televisivo “Camara Aberta”, 25 Maggio 1999). Nel suo primo anno in carica diventa il volto della distruzione dell’Amazzonia; viene coinvolto nello scandalo giudiziario di suo figlio indagato per riciclaggio di denaro e organizzazione a delinquere; crea, dopo il litigio con il proprio, un nuovo partito presentato con un quadro fatto interamente da proiettili con numero di presentazione alle urne “38” (noto calibro di pistole) e incarica suo figlio Flavio (che è indagato) per la raccolta firme; elimina i diritti delle persone LGBT escludendoli dal ministero delle donne, della famiglia e dei diritti umani ed alla promozione di quest’ultimi. Tutto questo e molto altro avvolge la figura di Bolsonaro. Di seguito analizzeremo come il Brasile sotto la sua guida ha affrontato e sta affrontando la più grande emergenza dei nostri giorni.
Il virus Covid-19, in data 10 Maggio, registra più di 4 milioni di contagi e una concorrenza a 300.000 morti (worldometers.info), dati molto approssimativi considerando che le popolazioni più povere sono impossibilitate a fare tamponi o andare all’ospedale, ma anche per la sottovalutazione generale del problema dei paesi più sviluppati. Dai numeri conosciuti, infatti, l’Europa e gli Stati Uniti presentano i valori più alti, ma se i paesi più ricchi sono in ginocchio, cosa potrebbe accadere ai paesi sotto la soglia della povertà? Si potrebbe solo fare una stima, perché sarebbe impossibile raccogliere i dati effettivi. Materiale sanitario inesistente, impossibilità di distanziamenti sociali e soprattutto la mancanza di igiene sono un lasciapassare letale pensando alle oltre 6000 favelas del Brasile nelle quali vivono il 6% della popolazione, ovvero 11,4 milioni di persone (dato IBGE, Istituto Brasiliano Geografia e Statistica).
Una testimonianza che ci giunge da quei luoghi abbandonati a sé stessi è data da un aiutante muratore, Edmar Sobral, che ci racconta in un servizio di Internazionale del 9 aprile la sua situazione e quella di molti altri come lui: “Non ho più niente, neanche i soldi per comprare il pane per mia moglie. Oggi è stato molto difficile riuscire a mangiare. Ho fatto un lavoretto per strada caricando detriti per guadagnare i soldi per comprare il pane. Dovrei lavorare ma con questa malattia meglio restare in casa, credo però che la gente non ci resterà, già qualcuno non lo fa e rischiano, ma non hanno altra scelta, la gente deve sopravvivere in qualche modo”. I contagi totali in quel giorno sono 18.145 e 954 i decessi.
Ad oggi, il Brasile è il paese più colpito dell’America Latina ma il Presidente brasiliano solo il 31 marzo annuncia che “il virus è una realtà”. È una data importante perché nei giorni precedenti, mentre gli altri paesi decretano l’emergenza nazionale e il lockdown, Bolsonaro a reti unificate definisce il virus, “una gripezinha”, un’’influenza da poco, incitando a tornare al lavoro gli abitanti, per guadagnarsi il pane, totalmente in contrasto con le dichiarazione del Ministro della Salute Luis Mandetta che fino a quel momento ha imposto l’isolamento federale e lo stop alle produzioni non necessarie. Lo scetticismo del presidente prende una piega ancora più marcata quando dichiara che “i brasiliani non si ammalano, possono buttarsi nelle fognature e non gli succede nulla, abbiamo gli anticorpi per resistere a questo virus” (dichiarazione del 20 Aprile al Palacìo da Alvorada, residenza ufficiale del Presidente).
Tutto cambia drasticamente quando il Ministro della Giustizia Sergio Moro, dichiara che spetta esclusivamente al Ministero della Salute dirigere il paese sulle misure da prendere. La sera stessa l’annuncio: “il virus è realtà”, ma il danno ormai è già compiuto… e sulle costanti pressioni per una riapertura dell’economia del paese, il Ministro della Salute, stremato, il 16 aprile si dimette per “visioni contrastanti”, generando numerose proteste a colpi di pentole udite fra i quartieri di San Paolo, Rio, Brasilia, Salvador e tante altre. 4 giorni più tardi il Presidente si mobilita sopra un pick-up bianco senza mascherina ed altre precauzioni arringando la folla convenuta in occasione della festa delle forze armate inneggiando la chiusura del Parlamento e un golpe militare. “Non vogliamo negoziare niente, tutti qui devono capire che sono sottoposti alla volontà Popolare” le sue parole.
Un colpo di scena si ha il 24 aprile. Il Ministro della Giustizia simbolo del governo Bolsonaro, Sergio Moro, rassegna anch’esso le dimissioni con accuse gravissime. L’ex giudice anticorruzione che con l’inchiesta Lava Jato ha condannato l’ex presidente Lula a 9 anni di reclusione (ora rilasciato per l’attesa di confermata colpevolezza degli imputati) accusa pubblicamente nel suo discorso di dimissioni al Ministero della Giustizia di aver licenziato il capo della Polizia Federale Mauricio Valeixo per ragioni politiche: “Devo proteggere la mia biografia e soprattutto l’impegno che avevo preso di fermezza contro la corruzione e il crimine organizzato” raccontando dettagliatamente anche una conversazione durante la quale non è riuscito a convincere il Presidente a non attuare questa scelta, aggiungendo che esso gli ha confidato che voleva un capo della polizia su cui contare, che avrebbe potuto chiamare direttamente, in stretto contatto per ottenere informazioni investigative sensibili. (fonte: New York Times). Sergio Moro è l’ottavo Ministro a lasciare la carica nei 15 mesi di presidenza Bolsonaro.
Incalzano sempre più rumorosamente le “panelacos” tra le città brasiliane mentre la Corte Suprema, su richiesta del Procuratore Generale della Repubblica, autorizza un’inchiesta per accertare la responsabilità del presidente nel licenziamento di Valeixo.
Intanto a Manaus, capitale dello Stato Amazonas, principale centro urbano, finanziario e industriale della Regione Nord del Brasile, gli ospedali esauriscono i posti in terapia intensiva, dunque spetta l’attesa anche per chi ha un’assicurazione privata integrativa, e se è così per chi possiede questo “privilegio” potete immaginare cosa accada ai meno fortunati. Nel mese di aprile, si verificano centinaia di decessi nella cittadina, ma di questi solo una minima parte viene attribuita al Covid-19. In particolare, il 26 Aprile, si registra il più alto numero di sepolture in un giorno: 142 – è 136 il record all’inizio della settimana scorsa – con una media giornaliera che aumenta da 30 a 100 sepolture. Di quelle 142 sepolture, solo 10 decessi sono registrati per Covid-19, tutti gli altri vengono registrati per sindrome respiratoria o insufficienza (47), causa “sconosciuta” (28) o addirittura senza dettagli sulla causa della morte (57), come riporta il noto portale di notizie G1 gestito da Grupo Globo, il più grande conglomerato di comunicazione e media in Brasile e in tutta l’America Latina.
Siamo dentro la terra Amazzonica, immensa meraviglia naturale, casa delle popolazioni indigene che dipendono totalmente dalla foresta per la loro sopravvivenza. Industrie, allevatori, prospezioni petrolifere, taglialegna, occupano e distruggono i loro spazi. Parliamo di circa 400 popoli indigeni per circa un milione di persone. Nel 2018 secondo il Ministero della Salute, le malattie infettive e parassitarie sono responsabili del 7,2% dei decessi tra gli indigeni, la diffusione del virus qui sarebbe devastante, un vero e proprio genocidio. Essi non hanno difese immunitarie verso le malattie portate dall’esterno, una semplice influenza può spazzarli via. Con la riduzione dell’esercito nella regione e la mancanza di tutela e considerazione da parte del governo, gli invasori agiscono indisturbati comportando difatti i primi contagi e morti tra queste popolazioni. Nella comunità Yanomami, un’area attraversata tutto l’anno dai grimperios (cercatori d’oro), è morto un ragazzo quindicenne lanciando l’allarme a tutte le aree indigene le quali esigerebbero più protezione, ma per il momento ancora voci inascoltate. Esempio lampante di questo abbandono del governo lo dimostra l’operazione effettuata dall’Istituto dell’Ambiente e delle Risorse rinnovabili volta all’espulsione di grimperios e taglialegna nel sud del Parà, con il risultato dell’esonero del direttore della Protezione Ambientale dell’organismo.
L’ultimo giorno di aprile vede un totale di 5.901 decessi confermati, più del doppio rispetto alla settimana prima, 2.906, e un totale di 85.380 infetti confermati, con un picco che “nessuno sa quando arriverà” citando le parole del nuovo Ministro della Sanità Nelson Teich, il quale ancora attarda a presentare un piano d’azione contro la pandemia. Alla domanda riguardo l’andamento vertiginoso dei numeri di quella settimana, Bolsonaro risponde: “E allora? Cosa volete che faccia? Mi chiamo Messia, ma non posso fare miracoli”.
Tra riesumazioni di vecchie bare riposte in container e sostituite per far posto ai sempre più dilaganti morti brasiliani e una crescita dei decessi dopo le prime 2 settimane di Maggio del 120%, la pandemia in Brasile è fuori controllo. Il 16 giugno il numero dei nuovi casi giornalieri rivela 37.278 positivi in più rispetto al giorno precedente e 1.338 morti in un solo giorno. Solo in questa prima metà di giugno sono morte in media 1.000 persone al giorno.
Appaiono solo numeri ma dobbiamo ricordarci che parliamo di vite umane, di famiglie che hanno perso i propri cari. Il dolore lacerante di una perdita non lo colmerà nessuno e con questo dolore dovranno imparare a convivere giorno dopo giorno. In brevissimo tempo il Brasile è diventato il secondo paese per numero di contagi (891.556) e decessi (44.118) al mondo, dietro solo agli Stati Uniti d’America che hanno però effettuato più di 25 milioni di tamponi rispetto ai circa 1.620.000 test del Brasile… Una discrepanza abissale che getta ancor più preoccupazione sulle popolazioni povere e totalmente indifese davanti a questa valanga silenziosa che sempre più sta travolgendo un “ordem e progresso” ormai perduti. Estamos juntos, in tutte le parti del mondo.
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