Ripescando tra i ricordi dei mesi passati da Corpo Civile di Pace a Lima, sento che sono stati innumerevoli i momenti di apprendimento, di condivisione e di riflessione che hanno caratterizzato questa esperienza. Uno di questi risale a un mese fa, quando ho partecipato ad un incontro tra rappresentanti di comunità andine e di comunità indigene amazzoniche, riunitisi a Lima insieme ad alcune ONG locali per condividere pensieri, necessità e urgenze sul tema della protezione dei fiumi in Perù. L’esigenza di unire le forze intorno a questa tematica, nonostante i contesti diversi e le distanze geografiche tra le varie comunità, nasce dalla preoccupazione condivisa in molte regioni del territorio peruviano per le condizioni e la qualità dell’acqua di fiumi e lagune, messi in pericolo da diversi fattori, tra cui i principali sono la contaminazione e l’inquinamento causati dalle attività estrattive, sia petrolifere che minerarie, dal trasporto fluviale, e la presenza di rifiuti solidi urbani nei corsi d’acqua.
All’inizio di questo incontro è stato chiesto ai partecipanti di presentarsi descrivendo con quale fiume si identificassero. Uno a uno, dopo aver scelto il “proprio” fiume, i rappresentati delle comunità amazzoniche ed andine hanno disegnato una mappa dei fiumi del territorio, dettagliando la presenza di affluenti, di lagune, e le maggiori minacce a cui sono esposti questi corsi d’acqua. Mentre li ascoltavo descrivere con grande conoscenza il proprio territorio, mi colpivano i termini con cui parlavano del fiume: il fiume è memoria, è vita, è sopravvivenza, è parte di noi, è mistero. Parole che esprimono una profonda connessione, un senso di appartenenza e identificazione con l’acqua, con la natura, quindi con la Pachamama (che in quechua significa Madre Terra).
Poi ho pensato al “mio” fiume. Mi è venuto in mente l’Arno, il fiume che attraversa la mia città natale, Firenze; ma subito mi sono chiesta se davvero potessi identificarmi con esso. Mi sono anche domandata perché fosse così diverso o difficile rispondere per me.
Vivendo in una società che da ormai troppo tempo ha cercato di dominare e controllare la natura, credo che in molti abbiamo perso questa connessione tanto sentita dalle popolazioni indigene e native, e con esso sia andato smarrito anche il senso di responsabilità di rispettare, proteggere e vivere in armonia con la Madre Terra. Come se non fosse già abbastanza grave questa perdita, si è provato storicamente – e si continua tuttora – ad allontanare o assimilare forzosamente chi invece ha continuato a sentire questo legame, attraverso la discriminazione, la derisione, la criminalizzazione e la violenza. A livello globale, infatti, preoccupa sempre maggiormente il numero dei difensori dell’ambiente uccisi: nel 2018, sono state in media più di 3 persone a settimana a perdere la vita per avere portato avanti azioni di difesa del proprio territorio e dell’ambiente, secondo i dati di Global Witness.
Fenomeni come il cambiamento climatico e l’emergenza da Covid19 ci ricordano quanto sia urgente il bisogno di riconnetterci e di ritrovarci con questa natura che abbiamo tanto alienato da noi. Credo che un primo passo in questa direzione sia rappresentato dall’avvicinarsi al sapere e alla conoscenza che hanno le comunità indigene e native dei territori, alla loro relazione con la Pachamama, per re-imparare da loro e con loro. Fondamentale per questo processo è invertire la tendenza del silenziamento e della criminalizzazione, orientandosi verso l’ascolto, l’apprendimento, la sensibilizzazione, la collaborazione. Come piccolo spunto per continuare la riflessione sul tema, vorrei quindi porre la stessa domanda che mi ha accompagnato in queste settimane, a te che stai leggendo:
tu con quale fiume ti identifichi?
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