Corpi Civili di Pace Perù

Chi ho lasciato in Perù

Come tutti gli operatori volontari dei Corpi Civili di Pace, anche Emanuele è dovuto rientrare in Italia per l’epidemia di Covid-19 e ha dovuto lasciare le persone che ha incontrato in Perù e che hanno segnato questi mesi di servizio.

Scritto da Emanuele Corazza, Corpo Civile di Pace con Ibo – Focsiv a Paita

A Pueblo Nuevo lascio M.
Una ragazza di 17 anni con 3 fratelli e una madre violenta perché troppo stressata dal carico di responsabilità. M. è solita scappare di casa per scappare da quel destino che per lei è “senza futuro” perché estremamente povero. Ora vive dalla nonna che è ancora più povera della madre. Temporaneamente, poi non lo so.

A Pueblo Nuevo lascio E.
16 anni, una ragazza molto insicura, anche lei con una storia simile a M., solo che il violento in questo caso è suo padre. Lei però è costretta a vivere con quell’uomo che non passa gli alimenti da 4 anni alla madre, che non ha un lavoro decente e non può permettersi di mantenere i suoi studi. In teoria dopo 5 mesi che non paghi gli alimenti in Perù vai in carcere, però sono passati quasi 5 anni e lui ancora gira a piede libero.

A Paita lascio B.
23 anni e 4 figli, con un marito bravissimo però troppo giovane e inesperto per poter guadagnare abbastanza da poter sfamare e mandare a scuola tutti quei figli. Lei è stata operata alle ovaie per far sì che non abbia più figli, per sempre. A 23 anni. Vive una situazione di estrema povertà. È solo grazie all’appoggio dei vicini che tutti i giorni può assicurarsi un piatto caldo per lei e i suoi figli mentre il marito è in mare per settimane a pescare pesce persico.

A Paita lascio la famiglia di J.
L’ho conosciuta per caso, per un evento drammatico che però mi ha dato modo anche di trovare un senso a questi mesi in Perù. Un incendio divampato da un impianto elettrico che gli ha distrutto la casa e reso ancora più difficile la loro vita. La famiglia, con la casa distrutta, si è ritrovata a vivere in 7 in una baracca fatta di pareti di laminato spesso mezzo centimetro e il soffitto di lamiere, 4 materassi della defensa civil, 2 tavoli, un fornello da campeggio e 5 o 6 sedie…

Grazie al sostegno di tanti amici da Aosta e Amandola e seguendo le indicazioni ed i consigli della mia responsabile locale, madre Bertha, siamo riusciti ad aiutare queste due famiglie sia nel ricostruire la casa distrutta dall’incendio sia nel poter contare su letti, cucina, vestiti e dare così dignità alla loro quotidiana lotta per la sopravvivenza. Ed io sono anche diventato padrino della figlia minore di J.

Sostenere solo due famiglie all’interno di una comunità però non era equo, così abbiamo deciso di redistribuire il sostegno ricevuto dall’Italia per affrontare altre situazioni familiari di povertà estrema, aiutare la mensa per anziani delle suore di Sant’Anna di Pueblo Nuevo e supportare un gruppo di madri che gestisce una panetteria e alle quali stavo dando lezioni di panificazione.

Tutto questo fino a pochi giorni fa.

Ora sono in Italia, rimpatriato d’urgenza per l’emergenza sanitaria globale legata al Coronavirus che ormai ha preso la priorità su tutto e su tutti. Anche sulla Dengue, che da ottobre 2019 in Perù ha contagiato 14.000 persone e ne ha uccise più di 40, bambini principalmente. Ma di questo, sicuramente, non ne avete mai sentito parlare perché era lontano e non ci toccava.

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