Quando sono tornata dal Cile, a gennaio, ho inizialmente pensato, con un po’ di presunzione, d’aver saputo reggere bene il colpo.
Le persone mi mancavano, mi mancava la mia vita là ed i miei progetti: la comunità sorda, i bambini, le persone di strada che bevevano sempre vicino a casa mia; mi mancavano, ma la frenesia di un ritorno stabile dopo quasi un anno, l’eccitazione di vedere i volti cari e di ascoltare le loro storie, la curiosità di risentirmi a casa nel mio paesone tra le montagne mi distraevano a tal punto, in quei giorni, da attenuare ogni piccolo grande vuoto.
Mi rendevo conto di non capire bene cosa stesse succedendo: era cambiato tutto in maniera rapida e le persone che avevo lasciato erano dall’altra parte del mondo, in una capitale immensa e caotica e segnata dalle proteste ogni giorno. Erano cambiate così tante cose da quando ero arrivata.
Ma pian piano ho iniziato a rimettermi le scarpe della mia vecchia vita ed ho visto che mi stavano ancora perfettamente ed è a questo punto che mi sono resa conto che tutte quelle mancanze c’erano ancora e c’erano più di prima.
I laboratori al Proyecto Sol con le signore sorde, i pranzi al Comedor, il pomeriggio a settimana di giochi con i bambi all’Escuelita, la mia famiglia: tutto mischiato nel mio cuore a creare un’esperienza troppo grande da metabolizzare. Un anno è stato troppo poco per quello che avrei ancora voluto fare, ma è stato anche troppo, perchè l’esperienza di vita è diventata un pezzo di vita: tutto quel tempo che abbiamo passato insieme è inciso in maniera indelebile dentro di me e rivive ogni giorno nei miei discorsi, nei miei pensieri, addirittura nei miei sogni.
Vorrei fare altre esperienze nello stesso ambito e anche se a volte penso che mai nulla potrà riempirmi di più, penso a come mi sentivo prima di partire ed a come mi sento ora: se da quella paura così grande è nato quest’amore così forte, ho voglia più che mai di togliermi queste scarpe così comode da essere fastidiose e riprovare la stessa paura, magari anche più grande.
Trattengo i volti, tutte quelle facce che ricorrono nella mia mente: ci sono Mia, Fra e Santi, i miei fratellini cileni, che entrano nella mia piccola camera e saltano sul mio piccolo letto; c’è un signore del Comedor che incontro alla feria e che si unisce a me per tutta la mattina, raccontandomi che lui, in strada, ci vive per scelta, e che lì ha conosciuto persone molto più virtuose di quelle che hanno una casa; ci sono i bambini, figli e parenti delle signore sorde, con cui siamo andati all’Oceano, che, anche se udenti, prendono pian piano dimestichezza con un mondo diverso da quello sordo, ci sono Margherita e Nelson, un signore ed una signora di mezza età sordi, con cui facevo il laboratorio di serigrafia, che si prendono in giro per come rimangono le copertine dei quaderni… Ci sono così tanti episodi che vorrei rifare tutto un’altra volta, anche se temo non funzionerebbe.
Anche se non posso passare a trovarli tra un impegno e l’altro, anche se sono così lontani, sono parte della mia vita e saranno amici miei per sempre. Ed io ho sempre detto che gli amici vengono prima di tutto.
Désirée
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!