La giungla equatoriale si estende per una superficie di 5,5 km² lungo il bacino amazzonico del Sud America. Anche nota come Amazzonia, la regina delle foreste è dieci volte più grande della Francia; essa attraversa nove paesi: principalmente il Brasile (per due terzi circa), a seguire Perù, Colombia, e – in misura minore- Ecuador e altri paesi situati soprattutto nell’area settentrionale del continente.
Questo immenso territorio ospita la più grande concentrazione di biodiversità del mondo che, in altre parole, significa VITA: miliardi di alberi, di specie animali, fiumi chilometrici che costituiscono una fonte importantissima di approvvigionamento e mezzo di spostamento fondamentale per le popolazioni indigene presenti nell’habitat adiacente.
La foresta amazzonica, in questo anno da poco trascorso, è stata l’indiscussa protagonista dei dibattiti riguardanti l’ambiente, i cambiamenti climatici e le vicissitudini politiche del continente latinoamericano; essa infatti, è stata ed è costantemente messa a repentaglio dall’attività umana, sempre più spietata e basata in una logica estrattivista e capitalista capeggiata dalle grandi imprese del petrolio e dall’industria maderera (del legno) e dalla minería (industria mineraria). L’incombere di tali minacce, tuttavia, rimonta agli anni 70 del novecento, momento in cui è iniziata la deforestazione massiva del grande polmone verde del mondo convertendo intere aree in campi agricoli per le mono coltivazioni destinate all’esportazione o, ancor peggio, in campi di perforazione e estrazione di petrolio.
In Ecuador, a seguito del duro lavoro delle organizzazioni e della società civile, durante lo scorso mese di novembre, ha visto la luce un report riguardante l’impatto dell’attività petrolifera nell’Amazzonia nord del paese, anche in virtù della storica lotta portata avanti da diversi attori locali e non, con il fine di esigere la riparazione dei danni ambientali avviati dall’impresa Chevron-Texaco. Il quadro emerso dallo studio – condotto, peraltro, da un gruppo di ricercatori delle Università di Padova e di Torino- risulta alquanto allarmante: le province maggiormente esposte all’inquinamento da petrolio (Orellana e Sucumbíos) presentano il maggior tasso di cancro del paese; le principali vittime della malattia sono donne e bambini; nonostante le denunce ricorrenti, lo stato ha normalizzato la pratica dell’incenerimento degli scarti del petrolio, i quali, in forma gassosa (nubi solitamente grige o nere) possono osservarsi semplicemente volgendo lo sguardo al cielo.
La battaglia che in questi giorni si sta conducendo mira proprio all’eliminazione di questa pratica mortale e usurpatrice dei diritti umani. I mecheros, questi tubi- piazzati a pochi metri da centri abitati, comunità, campi agricoli- si affacciano maestosi sulla selva, sputando fuoco nell’aria e riversando distruzione nei suoli. Intorno ad essi, distese di terra bruciata, insetti morti, animali sofferenti. Lo scenario è visibile agli occhi di chiunque; non è necessario addentrarsi troppo nel territorio per poter sentire gli odori nauseabondi prodotti da questo sistema, i quali, peraltro, se inalati a lungo, causano mal di testa e vertigini- fra le varie.
All’inizio del corrente anno (gennaio 2020) sono stati calcolati 447 inceneritori (nelle province di Orellana e Sucumbíos) dei quali 104 situati nel Parco Nazionale dello Yasuní, designato patrimonio dell’UNESCO dal 1989 e considerato riserva della biosfera in quanto costituirebbe una delle regioni con maggiore biodiversità del mondo ( https://en.unesco.org/biosphere/lac/yasuni ).
Nonostante l’avanzare delle nuove tecnologie, ciò che risulta sorprendente è il fatto che si continuino a bruciare i gas petroliferi anzichè reimmetterli in un sistema di riciclaggio degli scarti prodotti dall’estrazione, i quali, potrebbero costituire una fonte di carburante per le macchine del petrolio stesso. Infatti, l’Ecuador importa GPL a prescindere dalla possibilità che avrebbe di produrlo per mezzo di questo stesso impianto. Tale meccanismo malsano e illegale, ha, quindi, delle ripercussioni anche sull’economia del paese. Gran parte dell’impatto dello stesso, si riversa, poi, sul cambiamento climatico e sull’ ambiente- questioni che oggigiorno riguardano l’intero pianeta.
In diverse occasioni, i mecheros si tappano per via dell’accumulo di sostanze e ciò fa si che inizi a fuoriuscire petrolio. Generalmente, in termini tecnici si parla di atomizzazione ma si tratta di una vera e propria pioggia di petrolio. È difficile riuscire a immaginare un qualcosa di simile: petrolio che cade dal cielo, sui panni stesi ad asciugare al vento; sulla vegetazione; sui tubi che trasportano acqua piovana della quale usufruiscono le famiglie;sulla pelle.
Il gruppo di lavoro “Eliminen los mecheros que encendemos la vida” formato da svariate organizzazioni e attori della società civile ecuadoriana, guidato dalla UDAPT (Unión de Afectados por Texaco) ha, pertanto, presentato una Azione di tutela contro i mecheros e contro tutte quelle imprese che, per mezzo di questi, stanno contribuendo al più grande devasto dell’ambiente, del clima e della vita umana. La domanda è stata presentata lo scorso 18 Febbraio e ha visto come protagoniste 9 bambine (sotto tutela genitoriale) provenienti dalle aree maggiormente a rischio. Come accennato, appunto, le principali vittime del petrolio sono le donne che rappresentano il 70% delle persone colpite dal cancro. Non sono mancati casi di aborto spontaneo, di malformazioni del feto e di altre malattie che, invece, colpiscono la pelle. Le bambine di questa campagna sono e vorrebbero essere delle donne: ciò che, infatti, chiedono è l’eliminazione dei mecheros e la possibilità di avere un futuro, come persone adulte, come madri, come esseri umani i cui diritti vengano rispettati e protetti.
Lo Stato ecuadoriano aveva inizialmente fissato l’udienza dell’azione di tutela per il 27 di febbraio scorso ma, in seconda battuta, ha rinviato l’appuntamento al prossimo 9 marzo. L’auspicio maggiore è quello di cessare la quema di gas e far si che non venga mai più concesso ad alcuna impresa di installare un mechero in questa area rispettando, oltremodo, quanto stabilito dalla legge e dalla Costituzione.
L’attesa non si fa sentire. Non perché non vi siano tensione o entusiasmo al riguardo. L’attesa non si fa sentire perché questa gente sta lottando da oltre 50 anni portando avanti una resistenza spietata, nonostante le perdite umane, nonostante uno Stato sordo e indifferente. La speranza è ovviamente grande, per il futuro delle 9 bambine e di tutte quelle a venire; per il futuro di un paese piegato di fronte al volere della corruzione e dei grandi interessi economici; per il futuro della pachamama o madre tierra– come la chiamano gli indigeni che abitano la regione; per il futuro di noi tutti: che possa essere un futuro più cosciente e responsabile improntato al rispetto dei diritti umani e di quelli della natura.
Nel link che segue è possibile consultare e scaricare il report in lingua inglese: https://www.mdpi.com/2071-1050/12/1/58
Per un approfondimento sui dati riguardanti l’impatto dei mecheros su salute, ambiente ed economia, si veda:
http://www.udapt.org/se-publica-el-informe-mecheros-en-ecuador/
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