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Caschi Bianchi Kenya

Justas: una speranza di cambiamento

Chiara ci racconta la piccola vita di Justas, segnata dall’essere nato in condizioni di estrema povertà nella periferia di Nairobi, presso la baraccopoli di Soweto e delle fatiche di sua madre, vittima anch’essa di un contesto povero ed ingiusto.

Scritto da Chiara Masi, Casco Bianco in servizio civile con Apg23 a Nairobi

Si chiama Justas e fa parte della dominante tribù dei Kikuyu, così come la sua famiglia d’origine. Essendo stato accolto da molto piccolo, la lingua tradizionale, purtroppo, e alcuni modi di fare e convinzioni, per fortuna, non li ha imparati.

La sua vera casa si trova in uno dei più pericolosi slum di Nairobi, nella periferia: Soweto.

Sua mamma purtroppo é malata di tubercolosi e probabilmente anche di HIV – malattie molto diffuse in Kenya – ma nonostante questo continua ad avere problemi di alcoolismo. Beve bicchieri su bicchieri di chang’aa, un superalcolico “tradizionale” ed illegale: Soweto é uno dei pochi posti dove é ancora prodotto in casa e per questo risulta accessibile a tutti; oppure pombe, una particolare birra anch’essa molto economica.

Ogni volta che la vado a trovare esco da casa sua con un gran sospiro e mi chiedo: “Perché tutto questo? Come si fa a dire che si può avere speranza in un suo cambiamento? Non si rende conto forse che ha due bellissimi figli che le vogliono un mondo di bene? Che la vita è preziosa? Semplicemente magari lo fa per non pensare a questa sua ingiusta vita? Cosa posso fare io se non parlarle, starle vicino, farle compagnia ed essere esempio e testimone di una vita felice amando?”.

Questa è la mamma di Justas e il papà? Il papà non si sa nemmeno chi sia. Tra le baracche di Soweto è molto raro trovare una famiglia unita, con anche la presenza di una figura maschile. Le donne più povere, che non possiedono un lavoro e non hanno la possibilità di ricavare denaro in altro modo, vanno a letto con uomini per avere da mangiare e dare cibo ai loro figli almeno per quel giorno. Pochissime volte, purtroppo, ciò succede per amore e spesso le due persone sono annebbiate da droghe ed alcool e non utilizzano alcun tipo di precauzione, per cui queste donne, come la mamma di Justas, sono in balia di tutte le conseguenze che ne derivano. Il nostro piccolo, quindi, sta vivendo con una figura in meno di riferimento, molto importante, che non lo sostiene e questo si nota a partire, per esempio, dalla poca passione a fare lavoretti o al non fare la pipì dentro al wc.

Prima di essere stato accolto, quando viveva ancora con la mamma, lei usciva dall’abitazione la mattina e tornava la sera, ubriaca, con uno o più uomini sempre diversi e lasciava Justas a casa da solo, seduto sul letto. Se quella baracca 3×2 dove c’è solo un letto e un piccolo mobile si può chiamare casa, allora, noi abbiamo una reggia e forse è così! Siamo noi ad avere troppo e quello è il vivere essenziale o é un sopravvivere?

Lui stava lì, buono, con il suo ditino in bocca, non si muoveva, era davvero un soprammobile. Non parlava né camminava perché non aveva nessuno vicino che glielo potesse insegnare e aveva ben 2 anni.

Un giorno tra un giro e l’altro negli stretti, rossi, fangosi vialetti di Soweto con una puzza impregnante della fogna a cielo aperto e dei rifiuti sotto il naso, venimmo a sapere delle condizioni di questa famiglia.

Il giorno in cui la Comunità Papa Giovanni XXIII decise di accoglierlo era appena accaduto che la mamma di Justas, a causa del suo stato di ebrezza e con il bambino caricato sulla schiena, era caduta e aveva schiacciato la gamba di Justas rompendogliela. Nonostante le condizioni di vita di questa famiglia é stato molto faticoso convincere la mamma ad affidarlo alle nostre cure. Era ubriaca anche quando é stato il momento di parlare con gli uffici amministrativi della Polizia locale… La situazione era proprio critica e un bambino così piccolo non sarebbe sopravvissuto molto in quelle condizioni.

I primi giorni, mesi, tutti quelli che lo incontravano pensavano che Justas avesse disturbi psichiatrici, in quanto impassibile ad ogni stimolo. Sì, all’apparenza poteva sembrare così se non eri a conoscenza del suo passato, ma in realtà era perché non era abituato ad avere giochi, fratelli e sorelle, attenzioni…

Erano evidenti le conseguenze negative che lo stato in cui viveva e veniva trattato prima hanno avuto sul suo sviluppo relazionale e cognitivo.

Sicuramente aveva bisogno di tempo, non è facile cambiare totalmente vita da un giorno all’altro, essere catapultati in un mondo completamente diverso anche se nello stesso paese, passare da una baracca in lamiere a quello che noi chiamiamo una casa.

Ora ha 4 anni, va all’asilo, sta crescendo a vista d’occhio e la sua più grande passione é il cibo. Lo é sempre stata, il cibo é molto importante per lui e nonostante gli si spieghi che ci sarà da mangiare a tutti i pasti ed anche il giorno dopo, é sempre difficile togliergli dalla testa l’idea di non abbuffarsi. È una convinzione che anche gli altri bambini accolti tutt’ora hanno, perché cresciuti solo grazie a quello che la loro mamma riusciva a procurarsi giorno per giorno e purtroppo non sempre si disponeva di un pasto. Per questo una volta che si ha la possibilità di avere cibo sotto i denti mangiano piatti davvero impressionanti, stracolmi.

Justas non si ricorda di quello che ha vissuto, ma tanti traumi, tante paure gli sono rimaste e a volte vengono fuori, come ad esempio quella per gli insetti. Chissà quanti se ne sarà visti passare sopra e non sapendosi muovere non era neanche capace di mandarli via. Ora appena sente la parola “dudu” (=insetto), o ancora peggio lo vede, scappa e va a cercare qualcuno “di grande” che possa prenderlo in braccio e proteggerlo da questo suo terrore.

Preso il tempo necessario per abituarsi a questa vita, adesso, si sta rifacendo di tutto quello che gli è mancato: corre, gioca fino allo sfinimento, appena sente della musica si mette a ballare, parla, scherza, ride con una risata inevitabilmente contagiosa, ti cerca e ti protende le mani per ricevere attenzioni, si accorge se manchi, ti osserva con quei due occhietti neri con una piccola macchiolina come se fossi la sua mamma, ama farsi coccolare. Chiaramente non é sempre un angioletto, ma in maniera inspiegabile riesce sempre a rifarti innamorare di lui. Cosa più importante é che ti sa volere davvero bene: quando sei triste o sei diversa arriva e ti abbraccia, la mattina bussa alla tua schiena per salire sul letto e svegliarti con tanti bacini, ti prende per mano con una fiducia indescrivibile e l’apice lo raggiungi quando inizia a chiamarti “Mami”.

Tante volte mi sono chiesta come potessi continuare ad essere presente nella sua vita rendendola migliore anche quando non saró vicina a lui fisicamente, quando non avró più la fortuna di vivere con lui tutti i cambiamenti, gioie e fatiche che la vita gli riserverà. Sicuramente é stato accolto nel mio cuore per cui non lo dimenticherò e probabilmente per questo saranno proprio lui e le tante immagini impresse, a darmi l’allarme e rimettermi sulla strada giusta quando saró lontana.

L’amore ha vinto, vince e vincerà per cui ho deciso di prenderlo in adozione. Sarà uno dei veri testimoni della mia esperienza in Kenya, colui che non mi lascerà dormire e che alimenterà il desiderio e la gioia del dare.

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