Anche ottobre è quasi finito e con lui il mio terzo mese di servizio.
Raggiunta quota 100 giorni sul campo è forse arrivata l’ora di una riflessione che vada aldilà dell’esperienza personale. Una riflessione non tanto su me stesso, ma piuttosto sul mio ruolo, sull’essere parte di questo programma che si chiama Corpi Civili di Pace.
Nelle settimane di formazione a Roma, prima della partenza, io e miei colleghi ci siamo chiesti più volte cosa racchiudesse, nel suo più profondo significato, essere un CCP. Ebbene, dopo tre mesi inizio a capirci qualcosa e a dare un senso ad ogni parola di questa sigla.
Siamo un CORPO perché siamo tanti, ma siamo anche solo Uno. Ed è proprio in questi ultimi giorni che mi sono sentito parte di questo Uno: quando ho sentito le voci dei miei compagni e ho letto le loro riflessioni. Dalle proteste in Ecuador, Cile e Bolivia, ai movimenti anti-corruzione in Libano; dai problemi a casa mia, nella Valle del Sacco, passando per le lotte più o meno silenziose per proteggere un’Amazzonia che brucia davanti ai nostri occhi. I miei compagni erano lì, ad osservare e a cercare di capire, per poi raccontare il loro punto di vista. Leggendo i loro articoli su “Antenne di Pace” mi sono sentito come se fossi con loro, azzarderei a dire “come se fossi loro”.
È forse questa sensazione di appartenenza a qualcosa di più grande rispetto al singolo individuo o al singolo gesto che ci classifica come un corpo. È la condivisione di esperienze diverse, ma in fondo uguali, che genera un’identità collettiva.
Oggi, però, l’esperienza che i miei compagni stanno vivendo nei vari Paesi dove stanno svolgendo il loro servizio sembra differire dalla mia, quantomeno dal punto di vista politico. A Medellin, nonostante il periodo elettorale, la situazione sembra restare abbastanza calma, o almeno lo è stata fino ad ora e per quanto io possa aver percepito. Non sono scoppiate proteste e non ci sono stati scontri tra forze dell’ordine e civili. Non ci sono state particolari vicende politiche che hanno scatenato la reazione della popolazione. Ad essere sempre presenti sono però i conflitti quotidiani, quelli latenti e quasi scontati, quelli a cui spesso non si dà troppa importanza perché considerati irrisolvibili in quanto generalizzati.
Povertà, malnutrizione, criminalità, narcotraffico, sono queste le sfide con cui Medellin si risveglia ogni giorno e a cui noi – io e la mia compagna Melisa – persone normali, dei semplici CIVILI appunto, cerchiamo di affrontare. Lo facciamo come CCP, come parte di un gruppo formato da persone che con piccoli gesti quotidiani probabilmente non riuscirà ad arrivare a questa tanto agognata PACE, ma che almeno ci sta provando.
Ed è in questo tentativo di cambiamento sociale, piccolo e continuo, che per me la parola pace trova il suo significato. Ecco cosa mi sento di essere: un piccolo tentativo di pace che insieme ad altri si trasforma in qualcosa di più grande e presente in più luoghi. Una costruzione concettuale che sembra solo un’idea, ma i cui risultati sono concreti, visibili e verificabili nel lungo periodo, per quanto minuscoli essi siano. Sono tracce che abbiamo lasciato, tracce di un percorso che ogni giorno, con fatica, ci impegniamo a intraprendere con gli strumenti di cui disponiamo.
Il mio strumento per eccellenza, come ben descritto dal nome della fondazione per cui lavoro – Salva Terra – è la terra. Sono sempre stato al corrente dell’enorme importanza di questa risorsa nella vita di ognuno di noi, ma non avevo mai pensato al suo immenso potenziale come fattore di aggregazione sociale. Oltre ad avermi offerto competenze tecniche di cui prima non ero a conoscenza, lavorare per un’organizzazione che si occupa di sviluppo rurale mi sta, infatti, aprendo a nuove riflessioni sulle infinite possibilità in cui lo sviluppo comunitario può prendere forma. Ciò è derivato soprattutto dalla mia entrata a pieno regime all’interno del progetto “Borde Urbano Rural” in cui Salva Terra si occupa del monitoraggio di 13 orti comunitari sparsi per la città. Con il tempo i miei compiti si sono ampliati ed evoluti. A tutta una parte tecnica, dove ci si occupa del controllo delle coltivazioni, della presenza di malattie nelle piante, della raccolta dei prodotti e della distribuzione del materiale necessario al mantenimento degli orti (semi, strumenti agricoli, fertilizzanti naturali, etc.) si è piano piano scoperta tutta un’altra parte, relativa alle implicazioni sociali che la gestione comunitaria di tali spazi comporta. Lavorare collettivamente la terra determina l’instaurazione di nuove relazioni e di conseguenza lo sviluppo di una forte appartenenza comunitaria. Questo processo acquisisce poi una particolare importanza se viene a crearsi in aree tradizionalmente caratterizzare dalla presenza di conflitti sociali. Non a caso molti degli orti agroecologici del progetto sono nati in barrios che nella turbolenta storia di Medellin hanno rappresentato storici focolai di scontri tra persone appartenenti a differenti formazioni sociali (gang, cartelli, guerriglieri, militari). Dalla comuna 13 alla comuna 8, passando per aree tristemente venute alla cronaca per l’alta conflittualità che le ha nel tempo caratterizzate (la Sierra, Santo Domingo, Tinajas) Salva Terra, insieme all’Alcadia e alla Corporacion Arvì, ha fatto sentire la sua presenza, appoggiando nuove e alternative modalità di costruzione della pace. La condivisione di trucchi e consigli per avere prodotti migliori, l’aiuto reciproco, l’organizzazione comunitaria dei mercati contadini e molti altri fattori hanno, infatti, lentamente generato un cambiamento positivo in questi quartieri, prima fortemente stigmatizzati.
Nonostante ciò, sono molte le difficoltà che persistono. Non sempre i partecipanti sembrano andare d’amore e d’accordo: c’è qualcuno che si impegna di più e qualcuno di meno, qualche gelosia e qualche questione passata non risolta. La presenza di alcune forme di conflitto è comunque, a mio giudizio, comprensibile e naturale. Ho cercato di ascoltare le persone, di capire i loro problemi e le loro lamentele, tentando al contempo di mantenermi neutrale. Ho cercato, per quanto possibile, di promuovere il dialogo e il confronto, fino al punto di proporre a Salva Terra l’organizzazione di riunioni mensili tra i partecipanti dei vari orti per discutere le eventuali problematiche nate tra di essi, magari con qualche mediazione da parte nostra.
Nel mio piccolo ho già preso questo impegno. Una domenica ciascuno io e Melisa facciamo accompagnamento ai mercati contadini dove, a domeniche alterne, i rappresentanti di ogni orto portano tutti quei prodotti che non sono stati destinati all’autoconsumo, ma alla vendita. È qui che si sono iniziati a creare autentici rapporti di fiducia con i beneficiari, tra una richiesta di traduzione in inglese, un aiuto a fare i conti per dare i resti e la condivisione delle proprie storie.
Sempre in relazione al progetto “Borde Urbano Rural” ho partecipato alla gestione di vari laboratori di cucina in cui cuochi e dietisti spiegavano ai beneficiari come utilizzare in modo efficiente e sano i prodotti dei loro orti. È stato curioso scoprire alcune ricette colombiane, ma è stato ancora più interessante vedere la reale voglia di apprendere da parte dei partecipanti. Sono state poi organizzate alcune fiere, per esempio a Plazoleta (Comuna 8) in cui abbiamo allestito uno stand per far conoscere alla comunità il lavoro di Salva Terra. Non abbiamo mostrato solo i prodotti finali, ma anche tutti quei materiali e processi che portano ad avere sulla propria tavola ortaggi sani e organici. Abbiamo giocato con i più piccoli, cercando di insegnargli a distinguere le verdure, mentre con i più grandi abbiamo dispensato consigli di cucina. Allo stesso tempo abbiamo ideato maniere creative per spiegare concetti a volte difficile da comprendere: dai vantaggi delle coltivazioni organiche e della raccolta differenziata, alla produzione dei diversi tipi di fertilizzanti biologici.
Con riguardo a questo ultimo punto, nelle ultime settimane sono stato coinvolto in maniera diretta nella preparazione di vari prodotti: dal bocachi, un fertilizzante derivante dalla decomposizione di materiale organico fermentato, a soluzioni naturali per il controllo di parassiti e malattie delle piante, come il caldo sulfocalcico, il sapone potasico e l’estratto ajo-ajì. Non solo abbiamo distribuito tali prodotti nei vari orti, ma abbiamo reso partecipi i rappresentanti delle comunità nella loro preparazione.
L’obiettivo di questi laboratori è infatti rendere le comunità autonome e quindi auto-sostenibili nella gestione degli orti, di modo che, in un futuro non troppo lontano, l’assistenza di Salva Terra non sarà più necessaria. Abbiamo svolto altri incontri formativi alla Sierra (Comuna 8) dove, insieme ai volontari di Engim Internazionale e ad alcuni giovani del quartiere facenti parte della “mesa de trabajo” della parrocchia, abbiamo dato vita ad un nuovo orto, a seguito di un recente accordo tra Salva Terra e l’Alcadia di Medellin.
Iniziare un progetto da zero è stato incredibilmente stimolante, soprattutto perché per la prima volta io e Melisa da “formandi” abbiamo cominciato a diventare formatori. Inoltre, proprio per il fatto che la costruzione dell’orto è partita dal principio, potremmo finalmente vivere l’intero ciclo di progetto: dalla trasformazione del suolo da terra abbandonata a campo coltivabile, passando per la definizione delle modalità di gestione comunitaria, fino alla raccolta dei primi prodotti finali. Abbiamo poi avuto la fortuna di visitare alcune iniziative della fondazione Salva Terra fuori da Medellin: a Titiribì e a Jardin, due piccoli comuni nel dipartimento di Antioquia. Qui abbiamo partecipato al progetto “Centros Educativos Rurales” organizzando dei laboratori di sicurezza alimentare e protezione dell’ambiente in una scuola e in un centro per persone diversamente abili.
Lavorare con queste due diverse categorie di beneficiari è stata una bella sfida. Le lezioni teoriche e i giochi ricreativi sono stati accompagnati dal coinvolgimento dei partecipanti sul campo: dalla semina alla raccolta. La fatica è stata presto ripagata dagli enormi sorrisi conquistati e che ora custodisco gelosamente nel mio armadio dei ricordi.
In questo mese non sono poi mancati alcuni impegni più istituzionali. Oltre a continuare a monitorare possibili bandi per finanziamenti a progetti agricoli da parte di organizzazioni nazionali, regionali e internazionali si è avviata una proficua collaborazione con alcuni rappresentanti dell’IILA – Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana – a seguito della nostra visita al progetto “Biosuroeste” nell’Oriente Antioqueno e in vista di una futura alleanza tra questa istituzione e Salva Terra.
Ho poi partecipato alla tavola rotonda “Rafforzamento del ruolo della donna nelle politiche pubbliche di sviluppo agricolo” organizzata dalla Facoltà di Scienze Politiche e Sociali del Colegio Mayor di Antioquia e dalla Segreteria per le donne e l’uguaglianza di genere dell’Alcadia di Medellin. In aggiunta, a Salva Terra e agli enti già citati, erano presenti rappresentanti di varie organizzazioni tra cui la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura), la Segreteria per lo sviluppo agricolo e rurale dell’Alcaldia, Corporacion Verde-Mujeres e MujeresAgro Medellin. L’incontro è stato organizzato per discutere possibili tematiche da affrontare in un futuro forum che verterà specificatamente sul ruolo delle donne nelle politiche di sviluppo agricolo in Colombia, sulle esperienze di successo e più in generale sull’approccio di genere in questo tipo di progetti.
Salva Terra è un’organizzazione giovane e dinamica, che sembra sempre stare al passo coi tempi. Partecipare alle sue sfide giornaliere e ai suoi successi mi sta aiutando molto, non solo dal punto di vista professionale, ma anche umano. Inoltre, condividere le difficoltà che le varie comunità con cui lavoriamo affrontano quotidianamente, non è semplice, ma è sicuramente stimolante. Spero che in futuro e nei mesi di servizio che mi restano questo stimolo rimanga così, sempre accesso.
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