Sono le 16.30. Il cancello dell’ospedale è ancora chiuso. Una folla dai chitenghe (abiti tradizionali africani) multicolore aspetta con “fremito” l’ingresso.
Si entra. Cammino tra qualche sguardo incuriosito e qualche altro sospettoso per la mia presenza. Attraverso i corridoi spogli, colorati di giallino. L’aria si fa pesante o forse il mio cuore lo è. È così ogni volta che mi avvicino a questa stanza. La porta è spalancata oggi. La scritta “acute” mi colpisce sempre con una fitta allo stomaco. Varco la porta. Guardo Margaret per prima. Lei sorride. Mi tranquillizzo. Poi guardo lui, Olderly. È lì, intubato, sudato, sotto un mare di coperte blu. Finestre spalancate. Tende annodate, quasi a voler trattenere qualcosa. Fa caldo. Lei cerca di rinfrescarlo come può, con uno straccio di fortuna trovato chissà dove. Le chiedo come sta e mi dice che nulla è cambiato, ma io lo vedo che è peggiorato. Continua a non essere cosciente, ma oggi dorme tutto il tempo. Respira a fatica. Le lacrime mi tornano prepotenti, poi guardo lei. Che donna magnifica è Margaret! Ha gli occhi pieni di devozione verso il marito. Non gli toglie neanche per un attimo lo sguardo di dosso. Lo accarezza, lo prende per mano con serenità e fiducia in qualcosa di grande. Io mi sento estremamente piccola accanto a lei. E mi dico che un giorno vorrei imparare ad amare in quel modo. Come fa ad essere così tranquilla, anche dopo aver perso una figlia ora? Come fa a sorridere incessantemente, dopo tutti questi mesi di sofferenze? Sette figli a carico. Una vita passata a prendersi cura di Eveline, resa disabile da una terribile malaria e costretta a trascorrere la sua vita su un divano, sotto una rete anti zanzare. Perché mi abbraccia come se fossi io quella da consolare? È suo marito che si è ammalato e ha perso il lavoro. Ed è lei ad aver trascorso l’ultimo anno nella povertà assoluta per questo.
Ricordo il giorno in cui ho conosciuto Olderly. Seduto sulla sua poltrona preferita, con una mano accarezzava Eveline e con l’altra la sua fronte, mentre parlava. Che uomo timido Olderly! Un uomo semplice e curioso. Ogni volta che andavo a trovarlo mi riempiva di domande sull’Italia, sulla mia famiglia ed io gli mostravo le mie foto. Cosa rimane di quell’uomo ora? Un uomo dimenticato ed isolato dalla società per l’unica colpa di essersi ammalato, fino a portare su di sé i segni di quella malattia, attraverso la sua disabilità. Dimenticato dalla famiglia, che accusa la stregoneria e magari la moglie per la sfortuna dei suoi malanni. Per giunta è povero e questa è già una condanna. Per i medici infatti è uno dei tanti. Se non hai soldi, non ti curi. Se non hai soldi, non sei degnato di uno sguardo. Se non hai soldi, sei destinato a morire.
Perché Margareth non è arrabbiata, o almeno stanca? Perché non sente l’ingiustizia per quello che vive? Cos’è quel sorriso che le illumina il viso ogni volta?
Varcare quella soglia di ospedale vuol dire imbattersi in sentimenti di impotenza ed ingiustizia. Il sistema sanitario zambiano è lento e non organizzato. La suddivisione in distretti (per agevolarne l’organizzazione) non migliora la gestione di qualcosa che sembra troppo grande e difficile da gestire. Ndola Teaching Hospital è un ospedale universitario, che dovrebbe formare medici ed infermieri. Nonostante ciò, il personale sanitario è carente e difficile da reperire. A differenza dei nostri ospedali italiani, qui non c’è un medico che sia disposto a seguire un paziente dall’inizio alla fine. Ad ogni visita un nuovo medico. Ad ogni visita bisogna ricominciare un po’ daccapo, negando ciò che è stato diagnosticato, proponendo nuove terapie. Il termine “malattia” viene un po’ associato ad una maledizione, un percorso interminabile in cui forse è più semplice rivolgersi a “cure naturali” di chi un giorno ha deciso di improvvisarsi medico. Questo perché l’ospedale funziona un po’ come un’azienda: tutto a pagamento. “High cost, low cost” in base alle possibilità, ma il risultato è lo stesso. Si può giacere in quel letto avvolto da coperte di lana per giorni, come dimenticati. I pasti sono minimi e l’igiene assente. Per una famiglia povera, come quella di Margaret, anche una minima spesa è difficile da affrontare. Per non parlare dei trasporti necessari per raggiungere l’ospedale e le medicine da comprare. Nel 2019 la salute non è un diritto di tutti. Poter essere curati è ancora privilegio di pochi ricchi.
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