Boati rombano fuori dalla finestra e io mi ritrovo a chiedermi se si tratti realmente di tuoni o di detonazioni non meglio definite. Questa è Quito, sabato 12 ottobre 2019, quasi tre mesi dal nostro arrivo e undicesimo giorno di proteste iniziate il 2 ottobre e scoppiate poi con il Paro Nacional, ovvero lo sciopero nazionale, il 3 ottobre a causa dell’adozione di un pacchetto di misure economiche – il Paquetazo – e dell’abolizione dei decennali sussidi statali per il carburante da parte del Presidente Lenin Moreno, sulla base degli accordi presi con il Fondo Monetario Internazionale.
A parte i tuoni e qualche sirena spiegata, la strada è muta – niente camioncini del gas, niente arrotini e venditori vari, niente reggaeton a palla dei colombiani che vendono patate e arepas (piccole focaccine di mais) ripiene -, e chi è stato a Quito anche solo di passaggio, sa che questo non è normale, non è per niente normale.
Questa mattina con le mie compagne di progetto siamo scese in strada, non per comprare come al solito torte e biscotti da Toledo, il nostro amico panettiere, ma per fare scorte d’acqua: comunicazioni non ufficiali infatti sostenevano che la stessero per chiudere. L’acqua non l’abbiamo trovata, i negozi erano quasi tutti chiusi e i pochi coraggiosi ancora aperti con le serrande abbassate l’avevano terminata, al suo posto però ci siamo trovate davanti un quartiere irriconoscibile. Il supermercato di zona è stato preso d’assalto, tant’è che la sicurezza ha chiuso i cancelli e alle persone è permesso di entrare a gruppetti di cinque, la coda si snoda lungo tutto il marciapiede; quando i palazzi lo permettono, in lontananza – ma neanche poi tanto – si scorgono colonne di fumo che si alzano in vari punti della città; furgoni che caricano e scaricano persone ad ogni angolo della strada corrono veloci sventolando bandiere; ragazzi con aste in mano e maschere antigas appese al collo camminano tranquilli tra le signore che cercano disperatamente un alimentari dove comprare provviste d’emergenza e in Parque Navarro, al posto del classico odore della trippa alla brace che ogni sera attira turisti e quiteñi che l’hanno infatti rinominata “Parque de las Tripas” (Parco della trippa), oggi il fumo viene dai copertoni che bruciando bloccano il passaggio verso il quartiere coloniale di Guapulo e poi le Valli.
Proteste popolari. Parque Navarro, La Vicentina, Quito. Mentre scrivo sono sul letto in pallet riciclati che ho costruito per passare il tempo in questi giorni in cui tutte le normali attività di progetto sono sospese. “El paro no para!” (lo sciopero non finisce), una soluzione sembra lontana se nessuna delle due parti acconsente a fare dei passi indietro, e le notizie che arrivano sono sconcertanti: il Presidente Moreno e la sede di governo temporaneamente spostate a Guayaquil, restano a Guayaquil; il numero dei feriti è salito a più di 1000; quello dei morti accertati a 7 (tra cui un dirigente indigeno); i detenuti sono più di 900 e se fino a ieri il coprifuoco indetto in alcune aree strategiche di Quito iniziava alle 20 e terminava alle 5 del mattino, oggi è stato anticipato alle 15, esteso a tutto il territorio nazionale e non si sa quando finirà.
Balli e pentole. Parque Navarro, La Vicentina, Quito. Clacson, musica e traffico è quello che sento stamattina aprendo gli occhi e affacciandomi dalla finestra mi accolgo che la strada è completamente intasata. Questa è Quito, lunedì 14 ottobre 2019, ore 07 del mattino. Sono passati solo due giorni, eppure la situazione è completamente cambiata.
Ieri pomeriggio in diretta nazionale, dopo ore di trattative, il governo ha fatto marcia indietro, annullando il decreto 883 che prevedeva, tra le altre cose, l’aumento repentino dei prezzi del carburante. Allo stesso tempo, è stata creata una commissione mista, composta da rappresentanti delle istituzioni e delle comunità, che proprio adesso é al lavoro per negoziare un nuovo accordo che possa sostituire il precedente decreto.
Al grido di “¡Si se puede, si se puede!” (si può, si può), il movimento indigeno – che aveva guidato scioperi e manifestazioni negli ultimi 12 giorni – ha interrotto le proteste e seguito da migliaia di persone in tutto il paese è sceso nuovamente in strada ieri sera per festeggiare l’accordo preso, accompagnando il tutto con corse sfrenate, balli, fuochi e pentolini che suonano al ritmo di mestoli e cucchiaiate.
Due giorni fa ascoltando i rumori di una città trasformata in campo di battaglia mi chiedevo se si trattasse realmente di tuoni o cos’altro, oggi invece mi trovo a riflettere sul coraggio – quello di chiedere, proporre e costruire la pace -, quello delle comunità indigene che hanno agito esprimendo il loro scontento in nome dei diritti e della giustizia per il paese tutto, e quello alla fine del presidente di cedere e ritirare il decreto in nome della pace.
Da Quito per il momento è tutto e questa è solo una cronaca dalla parte fortunata della città. Abbiamo assistito a una delle proteste popolari più forti degli ultimi 30 anni in Ecuador, lo strappo è profondo, lo stato di emergenza per ora resta vigente, le scuole chiuse, i danni e i disagi in tutto il paese altissimi, ma la speranza è che il dialogo che si è aperto tra le parti possa davvero essere costruttivo e che il nuovo decreto possa tutelare i diritti di tutti.
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