24 luglio 2019, Quito, Ecuador.
Un mese dall’inizio di questo nuova esperienza, un mese dall’inizio di questo nuovo servizio, un mese che è volato come volano solo i giorni più intensi.
Quando ho fatto domanda per il bando dei Corpi Civili di Pace non volevo mettere le mani avanti, non volevo fare progetti e poi distruggerli come già mi era capitato in passato, decisi di non dirlo quasi a nessuno e non cominciai a pianificare niente. Rimasi in attesa, andrà come deve andare pensavo, o meglio “que fluya” come dicono da queste parti.
24 luglio 2019, Quito, Ecuador.
Sei giorni dalla partenza, sei giorni dall’arrivo in questa nuova città, sei giorni che aprendo gli occhi ad orari improbabili tra le 6 e le 7 del mattino, guardando fuori dalla finestra vedo lui, il vulcano.
Ed eccomi qui, nella casa rosa, come l’abbiamo soprannominata con le altre ragazze, con quella particolare sensazione che da un lato mi spinge a cercare di renderla più accogliente e dall’altro mi fa sentire già a casa, nonostante per ora internet funzioni un giorno sì e due no, e riuscire a farsi una doccia con l’acqua calda sia solo un miraggio!
E’ strano penso – ed è un pensiero ricorrente da quando a inizio giugno ho cominciato a impacchettare le mie cose per lasciare Roma – come sia facile chiudere la propria vita in una valigia, per fortuna erano due questa volta, e buttarsi verso qualcosa di nuovo e totalmente sconosciuto. Lasciarsi tanto alle spalle, perché davvero ogni volta è un po’ più difficile, e partire, semplicemente andare. Poi arrivare e lasciarsi trasportare da un misto di confusione, adrenalina, ansia, curiosità e mille altre sensazioni che non si possono spiegare – o almeno io in questo momento non riesco a farlo, perdonatemi – ma che sicuramente chi è abituato a spostarsi spesso capirà.
Quando uso il termine sconosciuto, lo uso davvero e non solo per quanto riguarda il paese, la città e la cultura in cui sono immersa in questo momento, ma perché di questo bando Corpi Civili di Pace e dell’istituzione del contingente CCP, parliamoci chiaro, ancora in pochi ci hanno davvero capito qualcosa. Sappiamo che è una novità quasi assoluta a livello europeo e mondiale; sappiamo che siamo giovani volontari impegnati nel portare avanti azioni di pace non governative nelle aree di conflitto e a rischio di conflitto e nelle aree di emergenza ambientale; sappiamo che è una sperimentazione, 3 annualità di cui questa è la seconda, per un totale di 500 operatori di pace.
Durante la formazione pre-partenza di definizioni ne abbiamo date e soprattutto sentite tante, da quella più terra terra che ci dipingeva come “cavie”, a quella decisamente più istituzionale che ci incoronava “ambasciatori di pace” per conto dell’Italia. A me per ora piace pensarci come una scommessa, una grande e bellissima scommessa di cui facciamo parte tutti insieme, connessi anche se sparsi per il mondo e nelle varie sedi di progetto.
Ps Oggi, in occasione di questo primo mesiversario, il vulcano ha deciso di non farsi vedere.
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