Argentina Caschi Bianchi

Buscando el sol

Carola ci racconta la Puerto Madryn che sta conoscendo in questi primi mesi di servizio civile: una piccola città nella Patagonia argentina dove “i cani e i tramonti sono una costante”, e ci racconta l’impotenza che prova il giovedì, il giorno in cui distribuiscono la copa de leche nel barrio di Pujol, uno dei tanti barrios di questa città.

Scritto da Carola Frantini, Casco Bianco Apg23 a Puerto Madryn

Puerto Madryn sulla guida turistica è descritta come una piccola città che di per sé non propone grandi bellezze a livello architettonico né tantomeno paesaggistico, ma è conosciuta come punto di appoggio per visitare la vicina Peninsula de Valdés, la quale ospita una grande varietà di fauna marina e terrestre. Ci sono le balene, le orche, i leoni marini, i guanachi (una particolare specie di lama) e gli armadilli, che sono anche un po’ bruttini. Per il resto ci troviamo nel deserto della Patagonia, fatto di distese di nulla, sabbia e piccoli arbusti. Il centro della città non è troppo diverso da una qualsiasi località di mare a cui siamo abituati anche noi europei: ristoranti, birrerie, il molo e le spiagge con i bagni attrezzati. Ci sono quartieri dove le case bianche hanno delle grandi vetrate e i giardinetti davanti senza il cancello, un po’ in stile anglosassone. Le strade sono ben asfaltate, con i semafori, gli stop e tutto quanto.

Ci sono tantissimi cani in giro, se ti siedi sulla spiaggia a leggere un libro te ne ritrovi qualcuno che ti salta in braccio e inizia a riempirti di baci, e rimane lì con te a guardare il tramonto. Che bel tramonto, pensi, la luce è diversa qui, sarà perché siamo al centro del buco nell’ozono? I cani e i tramonti sono una costante, anche quando cominci ad allontanarti dal centro, e il paesaggio intorno a te inizia a cambiare. L’automobile inizia a sobbalzare, attenzione agli ammortizzatori! Devi avere occhi da tutte le parti: qui agli incroci nessuno si ferma. Le case non hanno tante vetrate, sono color terra bruciata e a volte il tetto è un pezzo di lamiera arrugginita. Stiamo entrando nel Pujol, uno tra i tanti barrios per lo più popolato dalla comunità boliviana. I cani sono più magri e sono ovunque, ti rincorrono e ti urlano addosso per proteggere la loro casa, quando hanno la fortuna di averne una.

Il giovedì, al Pujol, è il giorno in cui diamo la copa de leche, una tazza di latte (in polvere) zuccheratissima, e qualche facturas (una sorta di croissant) o un pezzo di pane. Oggi è giovedì e arrivano tantissime famiglie, alcuni bambini non vengono accompagnati, la sorellina maggiore tiene per mano una creaturina di tre anni. Qualcuno arriva a chiedere un po’ di pane da portare a casa, vorresti dire di sì a tutti e regalare tutto quello che ti rimane, ma oggi non si può. Ne è rimasto poco e domani qualche altra famiglia consumerà il suo unico pasto alla copa de leche. I bambini mi chiamano, c’è qualcosa che vogliono farmi vedere lì fuori. C’è un cane, tra gli altri, che addosso non ha nient’altro che ossa. Mi viene da piangere. Trattengo le lacrime mentre penso che non posso dare un tozzo di pane a quello scheletrino: come potrei dopo che l’ho negato a una bimba? Mi sento impotente. Cerco di recuperare qualche scarto dal cestino per darlo al cane. La copa de leche sta finendo e le famiglie iniziando ad alzarsi per andare a casa, con il sacchettino per il pane che è rimasto vuoto, ci riportano il piatto e ci ringraziano, ma prima lo svuotano di qualche crosta, lì fuori, e il nostro piccolo amico scodinzola come un matto.

Oggi il tramonto è più bello, e non è per il buco nell’ozono.

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