Albania Caschi Bianchi

Discorso con un tossico

Gaetano svolge servizio civile nella comunità terapeutica di Nenshat e in questo articolo condivide con noi una riflessione nata dalla semplice e umile domanda che gli ha rivolto uno dei ragazzi della comunità: “Cosa ne pensi dei tossici?”

Scritto da Gaetano Vicari, Casco Bianco con Apg23 a Nenshat

Cosa pensi dei tossici? Questa è la domanda che mi ha fatto un ragazzo in accoglienza. Cosa penso..É la prima volta in sei mesi che mi viene chiesta una cosa del genere, in sei mesi nessuno ha mai chiesto. Li per li  ho pensato ad una risposta evasiva, forse alquanto superficiale. “Penso che son persone che hanno deciso di affrontare la vita in un certo modo”.

Risposta semplice, neutra. Lui però non è dello stesso parere, si concentra sul termine scegliere. Mi spiega che non è scegliere ma è malattia, non nel termine organico del termine ma nel senso di una patologia che difficilmente si debella. Difficilmente perché da anni fa uso di eroina e metà della sua vita è stata condivisa con la sostanza. Difficile perché gli è stata indicata un’idea di vita dai genitori, da parte della società in cui lavoro e famiglia sono una conseguenza dell’altra. L’essere se stessi e l’essere per gli altri può risultare faticoso. La via per non provare dolore, per quello che si è, per quello che si è fatto in vita, si trasforma in una sentiero bianco, polveroso, fatto di fumi inebrianti e di sangue in circolo. Questo percorso ti rilassa, ti tranquillizza e ti fa andare avanti, nascondendo per un momento, che può essere un giorno quanto una vita, i problemi, le fatiche sopra citate. Senza il sentiero “nuk je i plot” (non sei pieno). Si definisce debole, un’opportunista nell’aver scelto questo sentiero per essere in pace con sé stesso. Ma chi non vorrebbe essere in pace con sé stesso? Su pochi che ci riescono, tanti lottano per trovare il proprio posto nel mondo e tanti altri ricercano alternative, non per forza salutari (non salutari per chi?), come appunto alcol e droga. Queste lo hanno fatto stare in pace con sé stesso ma intanto il suo mondo piano piano andava in sfacelo. Piccole cose all’inizio, niente di cui preoccuparsi. Destatosi, le minuzie son diventate gigantesche, impossibili da controllare. La solitudine attende compagnia, il vuoto deve essere riempito.

Molte varianti andrebbero analizzate, che passano da un percorso incrociato dell’essere individuo con un io e l’animale sociale cui si è, ma non c’è tempo e spazio per questo.

Il discorso termina con la speranza di riuscire a cambiare, forse in comunità. Non è la prima volta per lui. Ma aggiunge che un tossico ha alti e bassi, perciò oggi dice di volerlo, domani magari prenderà la valigia e se ne andrà per la sua strada, lasciandomi con questa domanda: “Cosa pensi dei tossici?” a cui potrei rispondere in mille modi diversi e non essere comunque soddisfatto del risultato.

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