Sto conoscendo il Perù, lo sto conoscendo poco alla volta.
Me lo stanno raccontando i tassisti che mi hanno guidato nel traffico della capitale fino alle sue periferie che si aggrappano ai cerros (colline) che circondano la città. Lo sto vivendo a Lima, ogni giorno, nelle settimane di Servizio Civile che scorrono rapide nella sede di IBO Italia. Ne ho scoperto una parte nella sierra, durante i weekend in visita ad Ayacucho e a Jangas abbracciati dalle montagne. L’ho celebrato durante il mio primo natale passato a mangiare con i piedi sotto la sabbia e la salsedine appiccicata addosso. L’ho ammirato nella selva, nei giorni in cui mi sono ritrovata a galleggiare su una barchetta nel Rio delle Amazzoni, osservando Cesar e Herman scambiarsi segnali con la natura che io non ero in grado di cogliere.
E più lo scopro, questo territorio che dai quasi 7000 metri dell’Huascaran corre verso il basso fino a livellarsi con le coste dell’Oceano, e più mi accorgo di quanto sia complesso. È nella realtà un paese dai muri invisibili e non un mosaico di realtà differenti, a volte contrastanti.
Frammento 1 – Cuore verde
Da poco mi è capitato di passare qualche giorno in Amazzonia, nella selva, una delle tre regioni naturali del Perù, uno dei tre mondi racchiusi dentro un unico territorio. La chiamano il polmone del mondo, anche se a me piace pensarlo più come il cuore del Sud America. Collocata là in alto, con un ventricolo sinistro a coprire gran parte del Brasile e un ventricolo destro a occupare il Perù e la Colombia, e le coronarie che giungono da Ecuador, Venezuela, Suriname, Guyana, Bolivia e Guyana francese a confluire nell’immenso Rio delle Amazzoni.
Frammento 1 – Cuore verde
Da poco mi è capitato di passare qualche giorno in Amazzonia, nella selva, una delle tre regioni naturali del Perù, uno dei tre mondi racchiusi dentro un unico territorio. La chiamano il polmone del mondo, anche se a me piace pensarlo più come il cuore del Sud America. Collocata là in alto, con un ventricolo sinistro a coprire gran parte del Brasile e un ventricolo destro a occupare il Perù e la Colombia, e le coronarie che giungono da Ecuador, Venezuela, Suriname, Guyana, Bolivia e Guyana francese a confluire nell’immenso Rio delle Amazzoni.
PerùHo trascorso un po’ di tempo a Puerto Prado, una comunità a cui si giunge solamente con una delle tante barchette che giornalmente attraversano il letto del fiume e mi sono lasciata intrappolare da un groviglio di rami, foglie, chiome, radici ed erbe. Ho osservato questo gruppo di 16 famiglie vivere allo stesso ritmo della natura, iniziando le giornate presto quando il sole si concede salendo lento dal fiume e il cielo si fa rosa come un fenicottero e terminandole poche ore dopo il tramonto, nel momento in cui il cielo già si è fatto scuro e le stelle compaiono insieme alle lucciole nella foresta fitta. Durante le escursioni sul fiume mi sono meravigliata di fronte alla loro capacità di porsi in lunghi silenzi comunicativi con la natura e durante le pause che seguivano i pasti pensavo a quanto fosse distinto il mondo che loro conoscevano e vivevano rispetto a quello a cui io ero abituata. Un fiume nel mezzo, una foresta intera a separarci.
Frammento 2 – Partire o restare
Arrivando in una delle tante città incastrate fra le montagne della sierra peruviana, i polmoni si aprono, nonostante l’altitudine renda il respiro più pesante, e la vista spazia fino al limite delle nevi perenni. I vestiti sono quelli tradizionali, fantasiosi e colorati, sui cui ricadono i lunghi capelli neri raccolti nelle trecce ordinate delle donne. L’andamento è lento, quasi flemmatico e i modi sono riservati e un po’ circospetti nei confronti dei nuovi stranieri che arrivano. È un mondo per lo più rurale, fatto di campi e aratri trainati, e la fatica la si legge nelle schiene ricurve dei signori e delle signore anziane che camminano per le strade; una fatica che molti giovani non sono più disposti a vivere e che molte volte li spinge a lasciare i luoghi familiari per andare verso la capitale alla ricerca di altre opportunità.
È anche un mondo che si porta dietro i segni della violenza che, scoppiata durante gli anni ’80, l’ha travolto impetuosamente e ne ha fatto il suo luogo dell’orrore per circa vent’anni. Molte sono le persone (tra le seicentomila ed il milione) che durante quegli anni, a causa dei soprusi sia da parte di Sendero Luminoso che da parte dell’esercito nazionale sono fuggiti verso le città in cerca di protezione, sicurezza e sopravvivenza che però ancora oggi tardano ad arrivare.
Scavallato qualche valico e trascorsa qualche ora nel bus, il mondo che si trova al di là della Cordillera sembra non entrare nelle gallerie che riportano a Lima.
Frammento 3 – Aiuole nel deserto
Lima è un gigante di cemento che prova a muoversi rapido, ma che la maggior parte del tempo rimane bloccato nel traffico intenso e costante. È una città moderna, animata, casa di passaggio di numerosi stranieri, affollata durante il giorno così come durante la notte, compressa nei quartieri più centrali che si allungano verso la costa per poi cadere a strapiombo sul mare.
Ma poco più lontano, dove lo sguardo fatica ad arrivare, inizia un’altra Lima, unita con la prima solo dai tanti autobus e combi che ogni giorno trasportano frotte di pendolari stanchi dalla periferia alla città. È una Lima che si esprime in tutta la sua difficoltà negli agglomerati di case costruite in legno e lamiera che afferrano il terreno instabile delle colline desertiche su cui sorgono, sfidando le leggi di gravità e la capacità di adattamento dei suoi abitanti. Un paesaggio tanto suggestivo durante la notte quando, nascosto dall’oscurità e illuminato solo dalle luci dei lampioni stradali che corrono disordinati verso la cima del cerro, pare un piccolo pezzo di cielo stellato sulla terra. Un paesaggio tanto duro, quando la luce del sole ne rivela le sfaccettature più amare.
PerùSorti in fretta e furia durante gli anni ottanta, con l’esplosione del terrorismo e della guerra civile, li chiamano i Pueblo Jóvenes, nonostante della rigogliosità e del vigore dei giovani abbiano poco o nulla in comune. Il risultato di questa crescita rapida e sproporzionata, che ha portato la capitale a veder gonfiare il numero dei suoi abitanti da 645 mila a circa 10 milioni di persone in soli settant’anni, è il senso perenne di precarietà e abbandono che pervade questi luoghi, a volte divisi dalla “Lima bene” da vere e proprie barriere architettoniche.
In questi asientamentos humanos (insediamenti umani) il coefficiente di Gini* non è più solo un numero, ma si concretizza e prende forma nelle fragili pareti che racchiudono vite dure e combattive, nelle innumerevoli costruzioni iniziate e mai finite, nella mancanza quasi totale di servizi e luoghi di svago e nelle cisterne blu sui tetti che come il corpo di un cammello custodiscono e utilizzano con parsimonia l’acqua che scarseggia e che arriva a costare fino a 10 volte di più che in città. Nonostante questo le periferie continuano a crescere e la vita scorre, e la speranza di un miglioramento a volte fa capolino fra alcune aiuole colorate fatte crescere sui versanti pendenti intorno alle case.
“I bambini sanno che i fiori non vanno pestati; in questo modo non si avvicinano al bordo della strada e non rischiano di cadere. Prima avevamo provato con una staccionata di legno, ma non funzionava, la scavalcavano” mi racconta una mamma.
Sorrido.
Penso a quanto sarebbe bello se al posto di ogni muro che divide ci fossero un paio di girasoli e alcune primule colorate.
*Il coefficiente di Gini, introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini, è una misura della diseguaglianza di una distribuzione. È spesso usato come per indicare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o anche della ricchezza. È un numero compreso tra 0 ed 1.
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