Durante l’esperienza di servizio civile che sto svolgendo a Khartoum con OVCI, di donne ne incontro tante al centro di riabilitazione pediatrica situato in Omdurman: sono mamme, figlie, colleghe, amiche… ma soprattutto, sono donne come me, perché una volta superata la novità del velo, quello di cui ti accorgi è di quel sorriso così simile al tuo.
Come in ogni angolo del mondo, se mettiamo da parte gli stereotipi, ogni donna è completamente diversa dall’altra, per bisogni, desideri, aspirazioni.
Il ruolo della madre è esaltato (e desiderato!), ma non mancano le donne che aspirano a un lavoro, condizione che in ogni caso l’aumento del costo della vita sta portando ad essere necessaria, distante ormai da una logica di emancipazione.
A Khartoum si parla di molte cose, riassumibili in un’unica parola: scelta. Dalla piccola imprenditoria femminile a gruppi di artiste che si ritrovano per condividere idee, la capitale ormai dimostra iniziativa e voglia di esprimersi, pur rimanendo nel pieno dei propri legami culturali.
Ciò non cancella le “gabbie” in cui una donna può essere rinchiusa, ma quelle sono presenti in modelli e colori diversi in ogni parte del mondo. Come vive il proprio forte desiderio di famiglia una donna immersa in un mondo in cui tale valore sta venendo drasticamente meno? Non è forse una “gabbia” simile a quella di una donna la cui società si aspetta per essa un marito, condizione che lei non desidera? Per non parlare delle “gabbie” interiori in cui una donna si può rinchiudere nonostante la possibilità di una scelta, non trovando il coraggio di dire “Basta!”.
Credo che il modo migliore con cui porsi quando si parla di diversità come un valore, talvolta sia quello di azzerare il giudizio e cercare di comprendere come le distanze culturali ci rendano infine così vicine, anche in battaglie che sembrano così distanti.
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