Bolivia Caschi Bianchi

Le cholitas, donne fra tradizione e contemporaneità

Sara, Casco Bianco in servizio civile a La Paz, approfondisce in questo articolo la figura della cholita, la “portatrice della tradizione aymara, una delle molteplici culture indigene ancora presenti in Bolivia” e ci racconta come questa figura tradizionale sta cambiando negli anni.

Scritto da Sara Marzorati, Casco Bianco con Focsiv – ASPEm a La Paz

La chola boliviana o cholita, come viene più comunemente chiamata, è la donna paceña (abitante di La Paz e dei suoi dintorni) portatrice della tradizione aymara, una delle molteplici culture indigene ancora presenti in Bolivia, risiedente negli altopiani andini, fortemente radicata nella città di La Paz. La parola cholita deriva da un diminutivo della stessa lingua aymara: Chulu o huayqui che significa “meticcio”.

Si caratterizza per gli abiti tipici che indossa e che la contraddistinguono indiscutibilmente: una colorata pollera (una gonna a balze lunga fino alle caviglie e alquanto voluminosa, portata in modo da far risaltare il fondoschiena), un sombrero o bombín (una piccola bombetta che, nonostante le sue minute dimensioni rispetto alla circonferenza della testa non cade mai restando immobile), una manta (uno scialle legato all’altezza del petto), una blusa, delle simpatiche ballerine e, per terminare, delle lunghe trecce nere a cui spesso sono attaccate extensions decorative che allungano la pettinatura e la rendono più appariscente.

Non tutti questi elementi del vestiario della cholita risultano uguali per ognuna di esse: le più abbienti possono permettersi tessuti ricchi e rifiniture, mentre molte altre devono accontentarsi della semplicità in ciò che indossano, senza tuttavia rinunciare a mostrare la loro identità. La cholita si trasforma così da donna indigena dell’altopiano, simbolo spesso di un rango sociale basso, a espressione dell’alta società boliviana.

Ciò nonostante non tutte le donne della città e dei vicini altopiani sono cholitas: è una tradizione che si sta perdendo con il tempo, sebbene negli ultimi anni esse abbiano ricevuto una maggior approvazione da parte della società e ottenuto incarichi mano a mano più importanti. Infatti per molto tempo furono discriminate per le loro origini indigene e per ciò che indossavano; inoltre non potevano assumere nessun ruolo rilevante nella società ed erano solitamente bambinaie, donne delle pulizie, cuoche o commercianti di mercato. Questo cominciò a cambiare agli inizi degli anni ottanta quando le cholitas ottennero l’approvazione per esercitare professioni in ambito politico, sportivo, dei mezzi di comunicazione, fino ad allora vietate.

Oggi giorno chi vuole essere cholita lo fa per sua scelta ed è, il più delle volte, per continuare la tradizione della famiglia. “Mia mamma, mia nonna sono cholitas: per questo lo sono anch’io”, mi hanno risposto diverse donne a cui l’ho chiesto. Nonostante le cholitas che si vedono per strada siano ancora molte, sempre meno sono le giovani che decidono di seguire le loro origini.
Questo è uno dei tanti elementi di una Bolivia che sta scegliendo di cambiare, di abbandonare le sue tradizioni più proprie per dare spazio a una società moderna e sempre più occidentalizzata, rischiando così, allo stesso tempo, di eliminare parte della sua autenticità.

Non sempre la modernità è simbolo di miglioramento e rincorrendola spesso si rischia di perdere altro, forse più essenziale per la nostra identità personale e culturale. Quante cholitas vedremo fra qualche anno? Solo le decisioni che la nuova generazione femminile boliviana prenderà, sapranno rispondere.

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