Caschi Bianchi Perù

Essere infermiera ad Ocopilla, tra gratitudine e senso di impotenza

“I pazienti che visitiamo sono persone dai 70 anni in su che vivono in condizioni igieniche precarie e con problemi gravi di salute”. Un servizio intenso, difficile ma anche gratificante quello di Francesca, nelle comunità contadine che circondano Huancayo, in Perù. Francesca decide di condividere con noi anche due episodi che hanno segnato in modo profondo la sua esperienza.

Scritto da Francesca Luzzu, Casco Bianco con Auci – Focsiv a Huancayo

Sono passati mesi, eppure ricordo come fosse ieri il Corso di Formazione Generale del SCN. In particolare ricordo il mio stato d’animo. Un misto tra la curiosità verso un mondo fino ad allora per me inesplorato, il mondo della Cooperazione Internazionale, e la paura. La paura di non essere all’altezza, di non essere accettata dalla comunità nella quale mi sarei dovuta inserire, di stare per così a lungo lontano da casa, dagli affetti, dalle persone care, di sentirmi sola. 23 anni compiuti proprio durante i giorni della formazione, laureata in infermieristica da appena un anno, poche esperienze maturate sul campo, mi chiedevo: sarò in grado di dare una mano, di aiutare, nel mio piccolo? Ho deciso di non dare spazio alle paure. Valigia, zaino sulle spalle e sono partita. Direzione: Huancayo, Perù.

Fin dal primo momento in cui sono arrivata nella sede del progetto, sono stata accolta a braccia aperte dai ragazzi che si occupano delle diverse attività, e dall’intera comunità. Sono stati tanti i momenti di condivisione (soprattutto nel periodo natalizio) dove ho iniziato a farmi conoscere e a integrarmi timidamente. Ad oggi, mi sento parte della comunità, cammino per strada serena e saluto gli abitanti del quartiere, i commercianti della zona, i vicini di casa, che rispondono con ‘Hola Franceschita’ o ‘Buenos dias mamà’.

Il mio servizio si svolge quotidianamente nel Botiquin Parroquial Buena Salud, un piccolo centro di attenzione sanitaria di Ocopilla, quartiere particolarmente problematico della città. Il Botiquin fa parte del Centro Maurizio Polverari, che opera nel territorio dal 1997, e non solo si occupa di sanità, ma comprende anche una struttura scolastica, dove vengono svolte le attività ricreative per i ragazzi del quartiere, il doposcuola e l’Accademia Pre-Universitaria. Il fine delle iniziative del Centro è quello di tutelare i giovani, dai 6 ai 15 anni di età, che vivono in una realtà caratterizzata da povertà, violenza domestica, sfruttamento minorile e mancanza di strutture idonee all’istruzione (mancanza di fondi statali/abbandono del quartiere).

Per quanto riguarda la sanità, solo una minoranza delle famiglie del quartiere ha accesso all’assicurazione SIS (Sistema Integral de Salud), e questa mancanza di copertura sanitaria, fa si che le persone trascurino la propria salute. Ed è tutelare proprio queste persone l’obiettivo del Botiquin, offrire servizi sanitari di Medicina Naturale a basso costo e cercare di intervenire nel territorio con attività di prevenzione, in particolare igiene personale e alimentazione sana. Le responsabili del Botequin, ad oggi posso dire non solo colleghe ma anche amiche, si sono dimostrate disponibili e mi hanno fatto sentire parte del gruppo e dell’equipe di lavoro, ascoltando i miei consigli e insegnandomi tutto il necessario affinché potessi lavorare ed assistere i pazienti nel miglior modo possibile. Mi hanno affidato la gestione dell’area di Triage, Riflessoterapia, Colonterapia e tutta la parte che riguarda l’educazione sanitaria e formazione delle Promodoras, attraverso l’apertura di un corso di Infermieristica di Base di cui mi occuperò in prima persona per tutto l’anno. Non posso che essere grata per la fiducia che mi stanno concedendo; mai avrei pensato che il mio lavoro e le mie conoscenze potessero essere considerate tanto preziosi.

Non nego che nella mia settimana ci sia un giorno che preferisco in assoluto: il MERCOLEDI. Il mercoledì è il giorno dedicato all’attività delle campagne sanitarie nelle ‘Periferie’, avviato già da qualche anno dal Botiquin, grazie all’importante contributo delle Promodoras de Salud, un gruppo di signore volontarie che una volta a settimana fa visita agli anziani del quartiere, offrendo supporto emotivo e spirituale. Le persone a cui è offerto il servizio non hanno la possibilità di recarsi al Centro per essere visitati e vivono in condizioni di povertà estrema.

Con il mio arrivo abbiamo deciso di implementare il servizio offerto, perciò mi è stato affidato il compito di valutare i pazienti, attraverso compilazione di una vera e propria cartella clinica, in maniera tale da supportare i beneficiari anche dal punto di vista sanitario. Dopo aver accuratamente rilevato i parametri vitali con strumentazione idonea, il mio compito è quello di stilare l’anamnesi ed effettuare l’esame obiettivo, col fine di evidenziare i problemi che il paziente presenta, portando una mini-clinica, direttamente nella sua casa. Una volta rientrata alla base, i dati raccolti vengono analizzati, viene stilata una diagnosi e si individuano gli interventi più appropriati per risolvere o alleviare quelli che sono i problemi di ciascun paziente. Sono felice di essere stata inserita e scelta come responsabile di un’iniziativa che penso fortemente dia un grosso contributo al miglioramento delle condizioni di salute dell’intera comunità nella quale il Botiquin opera.

Inutile dire che sono tante le emozioni che si provano durante le poche ore di campagna sanitaria. È un’esperienza che regala tanto a livello emotivo e professionale. I pazienti che visitiamo sono persone dai 70 anni in su che vivono in condizioni igieniche precarie e con problemi gravi di salute. Entrare nelle loro case (spesso sono ammassi di lamiere) maleodoranti, sporche, umide e trovarli seduti per terra, su dei cartoni, è una sensazione inspiegabile. L’odore di urina è forte, poi la presenza di animali e il cibo per terra.

Ma ciò che più mi colpisce sono gli occhi di queste persone, l’unico mezzo con cui spesso comunicano con me, in quanto quasi tutti parlano solo un dialetto appartenente alla lingua Quechua, per me incomprensibile. Eppure riesco a cogliere perfettamente la richiesta di aiuto, la tristezza nel momento in cui saluto, con la promessa di tornare per una terapia, portare farmaci o beni di prima necessità. Ogni mercoledì torno a casa con il groppo in gola, ma felice di essere riuscita a portare un sorriso e un miraggio di speranza per queste persone, spesso abbandonate dai loro cari e dalla comunità.

Non credo che riuscirò mai a dimenticare la giornata del 21 Marzo 2018.

Quel mercoledì non é stato come tutti gli altri.
Quel mercoledì a Ocopilla non pioveva come tutti i mercoledì, c’era il sole.
Quel mercoledì sono andata a visitare i miei pazienti, come sempre.

Quel mercoledì ho perso due pazienti.

Ho perso un paziente al cui fianco ‘combattevo’ da più di due settimane. Pensare che le mie attenzioni (ero li tutte le mattine alle 8, i suoi dolori e le sue piaghe giorno dopo giorno miglioravano grazie alle mie cure) mi fa sentire comunque felice di essere stata con lui fino all’ultimo. Avevo dimenticato la parte brutta della mia professione. Avevo dimenticato il senso di impotenza.

Solo una settimana prima avevo visitato il signor R. per la prima volta, trovandolo in condizioni pessime, lasciandolo con la promessa di tornare. Il 21 Marzo tornavo da lui per rivalutarlo… Chi mi conosce sa che non sono praticante, ma quel mercoledì, sommersa dagli abbracci dei parenti, ho pregato, e ho perfino letto la Bibbia. Ho sentito così forte il dolore delle persone che mi aiutavano tutti i giorni a prendermi cura del mio ‘vecchietto’, che ho pianto.

Quel mercoledì il cielo di Ocopilla era diverso.

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