“Dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti. In assenza di interventi organizzati di cittadini per sostenere chi è vicino alla loro casa, guarderemo invano al progresso nel mondo più vasto. Quindi noi crediamo che il destino dei diritti umani è nelle mani di tutti i cittadini in tutte le nostre comunità”. Era il 1958 e con queste poche e semplici parole, Eleanor Roosevelt ci ricordava che è dai luoghi qualunque, invisibili sulla mappa del mondo, che iniziano i diritti umani.
A distanza di 60 anni, nella rosa dei diritti umani, il diritto allo studio è tra quelli che ci appaiono più scontati, più riconosciuti e rispettati. Nonostante questo, in alcuni (troppi) puntini sul mappamondo, le risposte alle domande – “Tuo figlio è andato a scuola oggi? E ieri? Ci andrà domani e dopodomani?” – scontate non lo sono per nulla. Kanyama è uno di questi piccoli posti e la storia ordinaria di Grace e Samuel, studenti della Scuola Shalom, può raccontare un “inizio”, uno dei tanti, del diritto allo studio, così ho deciso di raccontarvela dopo sei mesi di servizio civile al Centro Shalom con L’Africa Chiama ONLUS-ONG.
Studenti a Shalom fin dalle elementari quando ancora tutta la scuola era contenuta in una sola grande stanza, Grace e Samuel oggi hanno 15 e 17 anni e frequentano l’ottava (la nostra prima superiore) e la decima classe (la nostra terza superiore). Un giorno di non molti anni fa, l’insegnante di Grace si accorse che la bambina non veniva regolarmente a lezione e, anche quand’era presente, si addormentava spesso e non prestava attenzione. I suoi voti, così come quelli del fratello maggiore, continuavano a peggiorare, perciò l’insegnante decise di fare visita alla famiglia per capire quale fosse il problema. La madre confessò che non avevano abbastanza denaro per comprare il cibo e pagare la quota, seppur minima, per la scuola. Due altri figli che frequentavano la stessa Scuola Shalom erano già stati mandati a vivere con la famiglia di lei in un villaggio fuori Lusaka, proprio perché potessero comunque studiare e mangiare. Con la sola vendita al dettaglio di frutta e verdura, la madre non riusciva infatti a sostenere la famiglia e il padre non provvedeva per nulla, perso nella sua dipendenza da alcol.
Valutata la situazione, la scuola decise di garantire l’accesso gratuito all’istruzione ai due bambini, supportando inoltre la famiglia con un pacco alimentare mensile. L’attenzione in classe e i voti dei due studenti cominciarono a migliorare, così come le relazioni con gli insegnanti e i compagni di scuola. Non sempre però il pacco alimentare arrivava fino a casa, ripiombando la madre e i figli nello sconforto. Il padre, a causa della sua dipendenza, rivendeva infatti il cibo per comprare alcolici, ma grazie alla segnalazione da parte degli stessi bambini, la madre iniziò a ritirare da sé il pacco, facendo respirare ancora una volta la famiglia. Grazie alla sinergia tra scuola e famiglia, è stato prevenuto un caso di dispersione scolastica e, cosa più importante, due bambini sono stati i protagonisti coscienti del loro diritto di studiare.
La storia di Grace e Samuel non ha nulla di speciale, non parla di bambini straordinari come il Premio Nobel per la pace pakistano Malala Yousafzai né di grandi battaglie per i diritti civili. Parla di quotidianità e delle ordinarie difficoltà di una famiglia e di una scuola a Kanyama. Forse però, è speciale proprio per questo, perché se il diritto allo studio non avesse significato qui e normali cittadini non se ne curassero, non solo la scuola Shalom non avrebbe senso di esistere, ma questo stesso diritto non avrebbe significato altrove, nemmeno nelle nostre case in Italia.
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