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Caschi Bianchi Ecuador

Come ti smonto gli stereotipi sul SCN all’estero in quattro mosse

Sara, Casco Bianco in Ecuador, in questo articolo approfondisce i quattro stereotipi più comuni su chi sceglie di partire all’estero svelandoci la realtà che vi sta dietro e che ha scoperto in questi mesi di servizio.

Scritto da Sara Caddeo, Casco Bianco Focsiv a Quito

1) Che buona che sei!
I volontari in SCN all’estero, quando comunicano la loro decisione di partire a familiari e conoscenti, devono fare i conti con l’idea che questi hanno di chi si impegna in progetti del genere, generalmente a metà tra Gandhi e Maria Teresa di Calcutta. Non credo che la mia bontà d’animo sia superiore alla media, eppure per tre quarti delle persone sembra che d’improvviso mi sia spuntata un’aureola sopra la testa.

2) Brava, se ci fosse più gente come te il mondo sarebbe un posto migliore!
La verità è che non sto salvando il mondo, il mio ruolo consiste 1/3 nel sedare risse tra nanerottoli di otto anni, 1/3 nell’insegnare le somme riportando uno, 1/3 nell’impedire di aggiungere sale alla zuppa durante l’ora di mensa. Sono una figura ibrida tra un buttafuori, un’educatrice e il dottor Nowzaradan, di certo molto lontana da una supereroina. Non sono indispensabile, la fondazione potrebbe benissimo andare avanti senza il mio contributo. Non ho dato un apporto con conoscenze rivoluzionarie, non ho portato con me dall’Europa la ricetta del benessere.
Il Sud del Mondo non ha bisogno di me, se ho scelto di partire è perché io avevo bisogno del Sud del Mondo.

3) Beata, te ne vai al caldo, in luoghi incontaminati!
Magari! Quito è la città dell’eterna primavera, ma più nel senso di “marzo pazzerello vedi il sole e porta l’ombrello”. Per ora mi ha regalato tante giornate di pioggia e soprattutto tanto, tantissimo smog. Penso che, una volta in Italia, a vedere il fumo nero di una Uno diesel del ’92 mi verrà nostalgia.
Spesso i contesti in cui siamo inseriti sono ben lontani dallo stereotipo di sole, mare e palme. Non siamo esattamente in vacanza, ecco. Ma nella maggior parte dei casi non siamo neanche circondati solo da povertà e degrado, con le baracche e i bambini che assalgono l’uomo bianco chiedendo l’elemosina. Quito per esempio è molto simile a una metropoli europea, in cui esiste una classe media e anche i ricconi da superattico e macchina sportiva.

4) Che gioia lavorare coi bambini!
Parliamone. I bambini che nelle foto ridono felici con il libro aperto e la matita in mano, mentre vengono abbracciati dal volontario di turno, non stanno veramente facendo i compiti, perché vi assicuro che se le foto dovessero riportare la realtà vedreste raffigurati infanti piangenti e professori sull’orlo di una crisi di nervi. Metà del tempo sono la “profe querida“, l’altra metà mi vengono rivolte frasi che fanno sciogliere il cuore come: “qué mala!” o “usted no sabe nada!“.
È dura? Quasi sempre. Amo quello che faccio? Assolutamente sì. Almeno, la maggior parte della settimana.

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