Corpi Civili di Pace Ecuador

Chitarre e serpenti

L’idea per questo articolo nasce oggi mentre sto andando al lavoro. Manca ormai pochissimo al ritorno definitivo in Italia, forse questo ha aumentato la mia sensibilità, non lo so.

Scritto da Marco Ciot, Corpo Civile di Pace con FOCSIV

Fatto sta che sono sull’ecovia, un mezzo pubblico a metà fra un bus e una metro, che percorre Quito da Nord a Sud e viceversa. Un tragitto che ho fatto centinaia di volte, durante il qualeho incrociato gli occhi di migliaia di uomini donne e bambini, ogni giorno. Molti approfittano del viaggio per riposare, altri per controllare le mail, altri ancora per cucire o per pensare ai fatti propri.

Per molti altri ancora, l’ecovia è l’ufficio quotidiano. Più spesso uomini, ma anche donne con bambini. Molti vendono caramelle, bustine di tè, penne, libri, altri cantano, altri ancora semplicemente camminano dalla prima porta verso l’ultima raccontando come mai sono costretti a farlo ogni giorno, chiedendo qualche monetina. In pochi minuti riassumono una tragedia di vita di anni. La capacità oratoria di molti è incredibile,tanto per vendere i rispettivi prodotti quanto per chiede un aiuto di pochi centesimi di dollaro.

Ne ho visti molti, alcuni posso quasi dire di conoscerli ormai. Come Alexander, un uomo di mezza età rimasto cieco. Si guadagna da vivere cantando una cumbia commovente, accompagnato da una cassa portatile e da una trombetta. Spesso lo aiuto a salire o a scendere dall’ecovia, non prima che mi chieda se “Está full? Puedo caminar catando?” cioè: “è piena? Posso camminare cantando?” Mi piace pensare che anche sappia chi sono, dopo tante mattine passate insieme alla fermata Manuela Cañizares sulla Avenida 6 de Diciembre, aspettando un bus con un po’ di spazio per respirare (io) e per lavorare (lui).

Tanti come Alexander ne ho già visti, ma oggi un uomo mi ha colpito (lo chiamerò Juan). Forse perché sembra mio coetaneo. Forse perché nel suonare la sua chitarra nella folle marcia dell’ecovia, ha raccontato la sua tragedia come nessuno lo aveva fatto prima. Avvocato specializzato in diritto penale, costretto a scappare dal suo paese (Venezuela) a causa della drammatica situazione economica. Oggi è costretto a cantare sull’ecovia per portare il pane a casa, per sua moglie e la loro bambina. Non importa che sia vero o no. Io ci credo.

La storia di Juan mi ha colpito perché mi sono un po’ rivisto in lui: giovane, laureato, con un lavoro e una famiglia. Poi tutto scompare: lavoro, casa, certezze, futuro. A quanti succede? Ovunque. Potrebbe succedere anche a me fra qualche anno, oppure domani.

Leggo spesso articoli che ci descrivono come la generazione nata nel periodo più cupo dopo quello della Grande Depressione del 1929. Grandi speranze ridotte in briciole dalla crisi economica, dalla mancanza di lavoro, dalla globalizzazione… Viviamo anche la minaccia dei cambiamenti climatici che pesa sul nostro futuro, come sul presente. Noi millenials siamo stati definiti in tanti modi: mammoni, bamboccioni, eterni adolescenti. Ma no! Siamo anche quelli che si fanno il culo e vanno all’estero per cercare lavoro, siamo anche bravi quindi…Opinioni distinte. Giudizi inutili. Certo molti di noi rientrano in queste etichette, come in molte altre.

In ogni caso non do molto credito a chi scrive queste cose. Chi le scrive non ci conosce, spesso neanche fa parte della nostra generazione. Posso però scrivere però di quello che vedo, di quello che vivo, di quello che sento.

So che siamo una delle generazioni più formate mai viste prima. So che stiamo vivendo un periodo storico unico per migliaia di ragioni diverse: politiche, economiche, sociali ed ambientali, solo per citarnealcune. Un’enciclopedia non basterebbe per descriverle ed analizzarle tutte. A differenza di chi ci ha preceduto,di chi ci ha lasciato questa eredità molto ingombrante, siamo ricchi. Lo siamo perché sappiamo. Siamo coscienti di quello che sta succedendo e soprattutto del perché sta succedendo. Crisi economica, cambiamenti climatici, migrazioni, fame, povertà… sono tutte facce dello stesso morbo: il potere. Il potere che è per pochi.Il potere che ubriaca l’uomo. Il potere che distrugge tutto e lascia dietro di sé solitudine e deserti. Il potere che molti non possono nemmeno sognare. Tipo Juan, che l’unica cosa che può controllare sono le sue dita sulle corde della sua chitarra. Ma anche Juan lo sa perché è finito sull’ecovia di Quito a suonare. Sapere questo ci dà l’opportunità di cambiare la prospettiva. Usare la “crisi” come trampolino, creare opportunità. Con molta, molta fatica, perseveranza e dedizione.

Siamo giovani. Molti di noi hanno giàvaste conoscenze ed esperienza e soprattutto la facoltà di diffonderle. In più,abbiamole nostre idee e i nostri sogni. Mi piace pensare che nelle nostre mani stia la possibilità unica di creare, di costruire un futuro diverso. Questo è il nostro potere. Nessuno potrà mai togliercelo. Ed è una forza creatrice, non distruttiva.

Le contraddizioni che animano la nostra quotidianità dovranno essere un monito a fare di più. Come il fatto che l’assicurazione che ci copre come Corpi Civili di Pace (Gruppo Generali), sia uno dei grandi gruppi assicurativi che ancora contribuisce al cambiamento climatico, investendo in centrali a carbone (articolo di Re:Common 28/02/2018, link: https://www.recommon.org/le-assicurazioni-investono-ancora-nel-carbone-caso-generali/). Siamo tutelati da una delle forze che dovremmo contribuire ad eradicare. Questa è solo una delle migliaia di contraddizioni di cui siamo testimoni quotidianamente, quella che vivo più da vicino. Forse non si poteva fare altrimenti.

In ogni caso, questi ed altri problemi dovranno essere un motivo perimpegnarci di più. Per lottare oggi e sorridere domani. Viviamo e siamo tutti complicidi un sistema che da secoli abusa, sfrutta, maltratta uomini e terra. Me lo immagino come un viscido e grasso serpente. Un serpente che ama mangiarsi la coda, all’infinito, per nutrire sé stesso alle spese di tutto il resto. Chiamiamolo potere? Capitale? Come volete.

Noi giovani abbiamo un importate compito, nel quale non possiamo permetterci di fallire: dobbiamo tagliare la testa del serpente. Magari usando le corde della chitarra di Juan.

Perché il futuro possa essere più dignitoso. Perché abusi e violenze impunite non possano più avverarsi come hanno sempre fatto e continuano a fare sotto i nostri occhi, ogni giorno, ogni ora.

Io ci credo. Forse troppo. Ma oggi ci credo. E ci crederò anche domani.

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