La prima accoglienza rappresenta la fase iniziale del percorso terapeutico che consta di tre fasi ed è rivolto a persone dipendenti da droghe, alcool e gioco d’azzardo. È come la scuola elementare. Il bambino arriva senza sapere come si regga una penna e giorno dopo giorno, con tenacia e fatica, raggiunge la famigerata zeta! Qui nella struttura di prima accoglienza alla zeta non si arriva perché gli utenti saranno destinati a raggiungerla nelle altre strutture, però la penna cominciano a mantenerla eccome! E fanno la A e la B. Forse arrivano alla F e i più bravi alla H.
La prima accoglienza è come un labirinto. Giri in circolo. Vaghi. “È la scelta giusta?” e “Ce la farò?” diventano costanti di ogni mattina. L’umore varia in base al tempo. In base a come si è dormito. In base a come ci si è svegliati. In base al ciclo. In base alle facce che ti circondano.
Il bello è che vedi i miglioramenti. Quando arrivano, gli utenti hanno spesso la faccia incavata e cadaverica. Quando salutano per andare alla seconda fase, quelle guance si sono riempite di carne e colore. E li vedi progredire nei modi. Nei grazie detti con sentimento guardandoti negli occhi. La prima fase coinvolge perché si entra come cuccioli indifesi, come il “senso di vuoto, vuoto di senso” cantato da Battiato, accompagnati da genitori o familiari e a poco a poco ci si fa largo, si emerge e quel senso diventa un po’ meno vuoto e quel vuoto un po’ meno profondo. Ed è bello!
A volte però non funziona proprio così. A volte si arriva alla famigerata Z anche dopo aver fatto tutte le lettere inglesi però saltandone inavvertitamente qualcuna durante il cammino, senza accorgersene. E lì, su quella lettera, rimane lo spazio bianco. Lì, su quella lettera, riemerge il vuoto. E ricadono. E riprovano a rialzarsi. E ricominciano il percorso. E ripartono dal tenere in mano la penna.
In questi tre mesi ho visto ragazzi arrivare e andar via dopo appena ventiquattro ore; mi sono affezionata a ragazzi che sono giunti alla fine dei due mesi e sono passati alla seconda fase; ho guardato negli occhi bassi, sconfitti e persi di chi era “pulito” da anni, ma aveva saltato quell’unica piccola grande lettera che l’ha riportato indietro.
Quando sono arrivata mi hanno chiesto se fossi munita di un casco bianco. Sapevo fosse una battuta ma col tempo ho capito che un casco serviva davvero. Ma sul cuore.
La risposta croata alle dipendenze
L’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze (OEDT, in inglese EMCDDA) relaziona ogni anno sull’evoluzione del fenomeno della droga nell’Unione Europea. Dagli ultimi dati disponibili risulta che in Croazia il numero di tossicodipendenti varia da 7000 a 8000 ogni anno. Si registra tuttavia un decremento sia dei nuovi dipendenti che dell’uso di eroina, mentre alti numeri si registrano a favore delle cd. nuove droghe, anfetamine e speed. Sostanze queste che compromettono in larga misura la capacità neurologiche degli assuntori. Numerosissime sono infatti le doppie diagnosi; ragazzi, cioè, che oltre alla dipendenza, presentano problemi psichiatrici quali schizofrenia, psicosi, depressione.
A contrastare il fenomeno di diffusione delle dipendenze opera, insieme ad altre, la Comunità Papa Giovanni XXIII, associazione presente sul territorio dal 1996 (prima immatricolazione nel 1998) con ben 4 strutture: una di prima accoglienza situata a Zasiok e le altre, collocate rispettivamente a Orah, Veliki Prolog e Borovci, che seguono i ragazzi durante la seconda fase e durante il percorso di risocializzazione rimarginando quel gap tra singolo e società. In sinergia con le strutture, operano poi i centri di ascolto che hanno lo scopo di definire i problemi e i possibili modi per risolverli, di motivare gli utenti a intraprendere il percorso terapeutico, di aiutare a sviluppare un atteggiamento responsabile verso se stessi, la famiglia e la società. L’associazione svolge anche attività di prevenzione grazie alla collaborazione con istituti scolastici presso i quali vengono messe in atto varie attività destinate ai giovani e ai loro genitori al fine di prevenire la dipendenza da sostanze psicoattive ma anche di incoraggiare stili di vita protettivi della vita.
La cappella di Sant’Antonio da Padova
La cappella di Sant’Antonio da Padova è stata eretta 250 anni fa. Durante la guerra del ’91 è stata l’unica struttura del villaggio rimasta in piedi. È stata ristrutturata dai ragazzi in programma tra il 2005 e il 2006.
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