Mentre corriamo a velocità sostenuta senza casco, penso. Mi lascio andare alla strada, al vento sulla faccia, metto la mia vita nelle mani di questo pseudo-sconosciuto, in un paese che conosco poco. Pieno di contraddizioni. Famoso per le spiagge paradisiache e le donne bellissime, per la tolleranza verso il mondo LGBT. La realtà che ho visto io è molto diversa. Penso alla reazione che potrebbe avere mia mamma se sapesse dove sono e cosa sto facend
Altro paese, altro sfondo.
2017, settembre. Il sole brucia, l’umidità toglie il fiato. Mi trovo nella foresta Amazzonica ecuadoriana. Sempre in moto. Questa volta guido io. Stiamo correndo verso chissà dove, seguendo due ragazzi indigeni, in un luogo poco definito del Sudamerica con un altro oceano di fronte. O meglio, a centinaia di chilometri di distanza, il Pacifico. Mentre guido, di nuovo penso, le stesse cose che mi passavo nella mente l’anno prima, nel Sertão brasiliano, durante il mio anno di Servizio Civile all’Estero.
Queste sono le prime cose che raggiungono la mia mente pensando agli ultimi tre anni.
Mai avrei pensato di vivere solo la metà delle cose che ho visto e vissuto dal 2015 e che sto continuando a vivere.
Sto scrivendo dal mio attuale salotto di Quito, Ecuador. A 2800 metri di altezza, ci sono montagne molto più alte in vista. Proteggono ed intimoriscono. Qualche mese dopo il giro in moto di cui sopra. È novembre, una domenica, non c’è nessuno a casa e non so esattamente come occupare il tempo. Ecco il come e il perché del mettersi a scrivere.
Tornando in Brasile.
Non potrò mai dimenticare l’emozione dell’arrivo all’aeroporto di Fortaleza – CE. Il primo viaggio non di piacere, ma per una sorta di lavoro-volontariato. Perché il Servizio Civile all’Estero è formalmente un volontariato, dove i volontari ricevono un rimborso mensile abbastanza cospicuo. Il primo viaggio molto lontano da casa definitivamente solo, per un periodo di tempo molto lungo, quasi un anno.
I motivi che fanno partire sono tanti. Non è da tutti. Molti tornano a casa o lasciano molto prima della metà dell’esperienza. Costretti a confrontarsi con realtà sconosciute, con usanze aliene alla propria cultura, con modi di fare molto diversi. Con situazioni socio-economiche e climatiche a volte estreme.
Spesso alcuni partono per scappare da qualcosa, da qualcuno; altri per rincorrere un sogno di una carriera nel mondo delle ONG, altri ancora per scappare dalla tragica situazione occupazionale del nostro Belpaese, soprattutto per noi giovani.
Per molti sarà la prima ed ultima esperienza del genere, per altri sarà il trampolino per una carriera. Forse. Per alcuni, invece, sarà un’esperienza che cambierà radicalmente la vita: alcuni si sposeranno, altre resteranno incinte, altri torneranno nel Paese un po’ per amore, un po’ per cercare una nuova vita. Molti incontreranno l’amore, altri lo dovranno lasciare per sempre.
Succede di tutto all’estero. Non ultimo il punto di vista professionale. Molti impareranno un nuovo lavoro, qualcuno non imparerà niente a livello professionale ma crescerà umanamente.
In ogni caso ci troviamo tutti fuori dalla propria “zona di comfort” come va di moda chiamare casa in questi anni. Essere catapultati in un’altra realtà ti cambia. Cambia il modo in cui vedi il mondo: ad un tratto diventa più semplice e molto più complesso allo stesso tempo. Le sfaccettature della realtà aumentano esponenzialmente.
E tutto ti va stretto.
Mi considero fortunato. Posso scrivere adesso, dove sono, perché sono stato scelto per far parte del primo contingente di Corpi Civili di Pace italiani. Due volte fuori. Due anni. Non è facile. Molte cose iniziano e finiscono. Non è da tutti sopportare tutte queste emozioni, tutto questo dolore e tutte queste emozioni.
Di sicuro ne varrà la pena. Sempre.
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