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Bolivia Caschi Bianchi

Se puoi sognarlo puoi farlo

Da due mesi Valentina è casco bianco a La Paz dove lavora nell’ambito della giustizia riparativa che è da sempre il suo sogno ed è anche l’obiettivo dei suoi studi. Oltre alle difficoltà di ambientarsi in un contesto totalmente nuovo, Valentina ci racconta nello specifico di cosa si occupa e quali sono i progetti messi in campo.

Scritto da Valentina Lisi, Casco Bianco CVCS – Focsiv a La Paz

 “Portami in Bolivia per cambiare testa

portami in Bolivia per cambiare tutto

spegnerò il telefono sarò libera e indipendente mamma no, non ho bisogno di niente”.

Così recita la canzone della cantante Francesca Michelin. È vero la Bolivia ti cambia, La Paz ti cambia.

Quando ho intrapreso questo percorso ero consapevole di lasciare la vita di sempre: i genitori, i parenti, gli amici e cominciare tutto da capo, in un Paese diverso dal mio per usi, costumi e tradizioni. Mi sono fatta coraggio, forse presa dal sopravvento dell’incredulità di quello che mi stava accadendo, ho messo da parte la paura per fare spazio a quella felicità che da sempre desideravo; direi quasi la realizzazione di un piccolo desiderio che, dopo anni di sacrifici è arrivato come un fulmine a ciel sereno. In soli due mesi La Paz mi ha cambiata.
È un Paese pieno di colori, di paesaggi non contaminati dall’uomo che ti lasciano a bocca aperta, l’odore costante del cibo di strada che ti frastorna, l’incredibile contrasto tra povertà e ricchezza, l’“accoglienza differente”, a volte calorosa, a volte discriminate. Tutto ciò in poco tempo è riuscito a restituirmi quella voglia di fare e soprattutto di vivere che mi mancava da un po’, da quando la mia città, in cui sono nata e cresciuta, è iniziata a starmi troppo stretta.
I primi giorni in questa fantastica città sono stati momenti di difficoltà e di avvilimento, dovuti alla mancanza delle proprie abitudini, l’altitudine che ti toglie il fiato, il dover mettersi in gioco per iniziare una nuova vita da sola, la paura del nuovo lavoro, il sentirsi un pesce fuor d’acqua…
Preoccupazioni che lasciano il tempo che trovano grazie al confronto e alla convivenza con altri ragazzi, ormai considerati come una famiglia, che come me hanno intrapreso questa meravigliosa esperienza! A distanza di due mesi, non mi pento della mia decisione: sono convinta di aver fatto la scelta giusta. Abitualmente penso a questa mia opportunità, mi succede soprattutto quando torno a casa felice e soddisfatta del contributo, dell’appoggio e del lavoro che sto realizzando qui.

Lavorare nel settore della giustizia riparativa, oltre a essere stato sempre un sogno e l’obiettivo dei miei studi, mi permette di avere una visione diretta della realtà a molti oscura e piena di pregiudizi, di stereotipi. Quello della Bolivia è un mondo pieno di ingiustizia e, purtroppo, l’entusiasmo e la buona volontà da soli non bastano per poter cambiare lo scenario che abbiamo davanti, le realtà lavorative sono complicate e riuscire a inserirsi non è sempre semplice.
Quando si inizia qualcosa di nuovo è adrenalina pura, soprattutto per chi è alle prime esperienze come me. Penso che in questo settore sia necessario saper gestire l’inevitabile stato di insicurezza legato alla non piena conoscenza di quello che dobbiamo fare, sul come farlo o con chi. Nel poco tempo trascorso qui, mi sto facendo strada in questo complicato e contorto mondo del sistema penale, pieno di incongruenze e pieno di mancanze, ma che ogni giorno si sta cercando di perfezionare per permettere una vita migliore a giovani adolescenti privati dei loro anni migliori, a volte per loro colpa a volte per via di un sistema penale troppo duro e ingiusto.

Differenti sono i progetti intrapresi dal CVCS e da Progettomondo.mlal nel settore della giustizia minorile, io in particolar modo mi sto occupando della costruzione della Red Comunitaria.
Quando si parla di Red Comunitaria si parla di quell’insieme di attori definiti come istituzioni pubbliche e private, che lavorano per contribuire e appoggiare la persona privata di libertà nel suo processo di reintegrazione sociale con l’obiettivo di generare benefici per queste persone, in questo caso adolescenti, al fine di poter evitare casi di recidiva delittuosa.
Detto così sembra quasi un progetto impossibile, troppo temerario, però, pensandoci bene, la Red Comunitaria rappresenta un punto importante in questo percorso: è l’anello di congiunzione per i ragazzi che decideranno di beneficiare dell’importante progetto Post Penitenziario che si sta realizzando.
Solitamente, quando una persona che ha commesso un delitto rientra nella società va incontro a una serie di problemi di diversa natura, ma il problema è sicuramente il pregiudizio: l’essere etichettato come il “delinquente” viene stereotipato, viene accusato di non poter cambiare.
Penso che l’appoggio della Red Comunitaria sia importante anche in questo momento, perché è con i diversi aiuti nelle differenti linee d’azione (psicologica, educativa, lavorativa, familiare e del tempo libero) che si può garantire un’attenzione continua alla persona, dandole la possibilità di riscattarsi, di ricostruire la sua identità, di rimettersi in gioco e, perché no, anche di poter contribuire a ridurre questo insano pregiudizio che si ha nei confronti delle persone private di libertà.
E chi meglio dell’adolescente può avere questa possibilità, con la sua giovane età e tanta voglia di ricominciare?
La costruzione della Red Comunitaria non è semplice come si vuol pensare. Il lavoro che si richiede è notevole: non basta solo cercare, creare, attualizzare contatti con le istituzioni, ma bisogna anche promuovere la partecipazione attiva della società nel processo di reinserimento della persona privata di libertà. Successivamente, si deve identificare l’obiettivo prioritario e la strategia d’azione migliore, garantendo un’attenzione continua alle necessità della persona. È in questo passaggio che le istituzioni devono realizzare un concreto percorso di risocializzazione, reintegrazione, riabilitazione e reinserimento.
È un progetto interessante e ambizioso che a volte mi desta preoccupazioni e dubbi sulla sua complicata attuazione, non solo per via della sua intricata riuscita ma anche per via degli inevitabili scontri di pensiero che si possono avere tra colleghi.
Questo è un settore che richiede giudizi, ma io per il momento ho deciso semplicemente di sospendere il mio giudizio: ho bisogno ancora di tempo per poter maturare una mia personale valutazione, mi sto concedendo un po’ di tempo prima di poter fare le mie conclusioni.
Senza ombra di dubbio, le mie aspettative nel corso del tempo saranno alte ma non voglio distruggere il mio castello di carta ancora prima di costruirlo.

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