Da dove cominciare?
Domenica 7 gennaio sono arrivata a La Paz e fin dal primo sguardo mi ha lasciata senza fiato.
Questa città imponente e vivace: da un lato racchiude in sé centinaia di tradizioni culturali diverse che convivono contemporaneamente caratterizzando altrettanti usi e costumi, dall’altro il progresso di un paese è in continuo fermento e sviluppo economico.
Una città dove i rituali e la stregoneria sono un credo attuale, dov’è forte il prestare fede alla Pachamama, la Madre Terra e dea dell’agricoltura, venerata dai popoli Inca, Aymara e Qechua. Le Cholitas in ogni angolo della città sono un simbolo significativo della Bolivia, con le loro gonne lunghe e colorate, le loro bombette e le lunghe trecce nere, che raffigurano lo stile tradizionale Aymara, consuetudine della popolazione indigena.
Tutto ciò si presenta su uno sfondo metropolitano, caratterizzato da case di adobe e grattacieli montuosi che rendono La Paz unica e magica.
Questa città permette di riflettere sulla situazione economica della Bolivia che si divide nettamente in una parte della popolazione ricca e in un altra povera, ubicate in zone differenti; il divario si percepisce principalmente dal modo in cui sono costruite le case, dal modo in cui sono vestite le persone e dal tipo di negozi e passatempi.
Quando si arriva a La Paz ci si sente molto “piccoli” perché si prende visione degli usi e dei costumi di questa cultura e ci si accorge di quanto questa realtà sia differente dalla nostra; ci si spoglia dei vestiti più superficiali, mantenendo ciò che di più puro si ha, per costruire dall’inizio quello che si vuole essere.
Sono venuta a La Paz per lavorare al Centro de Rehabilitación Qalauma, un centro penitenziario che conta circa 235 ragazzi e 15 ragazze dai 18 ai 25 anni e che si ubica nella città di Viacha, situato sull’altipiano a 1 ora e mezza dal centro di La Paz.
Questo centro è strutturato con un senso logico-terapeutico: è formato da 4 aree che sono rispettivamente Pre-acogida, Acogida, Pre-Comunidad e Comunidad.
Ogni ragazzo viene collocato in una di queste aree in base alla Valutazione dell’IGI-J (un questionario che viene somministrato al ragazzo e che permette di identificare il suo livello di rischio) e in base al comportamento che egli tiene dentro al carcere.
Dunque, se il ragazzo si comporta bene, senza infrangere nessuna regola, può accedere all’area di Comunidad che permette di avere più privilegi rispetto agli altri settori, come per esempio partecipare ai vari taller all’interno del carcere. Al contrario se un ragazzo non ha un comportamento adeguato, retrocede nelle aree di Pre-acogida o Acogida che non consentono di fare molte attività all’interno della struttura.
Inoltre, a Qalauma viene data la possibilità ai ragazzi di proseguire o terminare la scuola e di fare alcuni corsi come Metal-mecanica, Panaderia e Galleteria che permettono, così, di insegnare loro un lavoro che aiuti il reinserimento nella società una volta scontata la pena.
Tramite queste attività si mette in atto un monitoraggio con l’obiettivo di valutare i rapporti sociali e, allo stesso tempo, si lavora su valori quali il rispetto, la costanza e la determinazione.
Questa metodologia di lavoro dà la possibilità al ragazzo di crescere personalmente e di migliorarsi come persona perché dà adito a riflessioni sul proprio comportamento, sulle proprie abitudini e su cosa poter modificare di se stesso per condurre, al di fuori delle mura carcerarie, una vita regolare e migliore di quella fino ad ora vissuta.
In Particolare io lavoro nel progetto Post-penitenciario di Qalauma, dove sono a stretto contatto con ragazzi che hanno quasi terminato di scontare la pena e che stanno per uscire dal carcere per tornare alla vita quotidiana.
Questo è complicato per le difficili storie di vita personale e familiare che, solo ad ascoltarle, mettono i brividi: storie di abusi sessuali, di violenza intra-familiare, di ragazzi abbandonati all’età di 8 anni che hanno vissuto la loro vita per strada, abusando già a questa tenera età di alcool e droghe e circondandosi di cattive amicizie.
Molte volte non è facile lavorare con i ragazzi che hanno alle spalle queste situazioni perché sono ormai abituati al loro tenore di vita, a rubare e, spesso e volentieri, a vivere senza mete e obiettivi da raggiungere. A tutto ciò, si somma il fatto che il più delle volte questi ragazzi vengono abbandonati a loro stessi, senza una rete familiare e amicale solida che li possa aiutare.
Proprio per queste problematiche, si è voluto creare il Progetto Post-penitenziario, un programma che vuole essere di appoggio e sostegno per ragazzi che vogliono parteciparvi volontariamente.
Il proposito è quello di costruire delle linee di azione di tipo educativo, lavorativo, domiciliare e familiare che, unite ad un sostegno psicologico, possano appoggiare il ragazzo nella costruzione di una vita nuova, dando loro una nuova chance.
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