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Bangladesh Caschi Bianchi

Dedicato a chi ha il coraggio di cercare la sua libertà

Silvia e Pamela, 23 e 26 anni, aspirante infermiera e cittadina del mondo. Silvia, che sceglie di mettersi in gioco per sfidare le certezze fondate, e Pamela, che è alla ricerca di un senso forte di vita, si trovano ora a vivere l’esperienza del servizio civile a Chalna, in Bangladesh, presso la missione Pope John XXIII, realtà che ha costruito negli anni un vero e proprio villaggio e che rappresenta una nicchia in cui anche gli ultimi hanno la possibilità di crescere e di vivere facendo valere il loro diritto di essere umani.

Scritto da Silvia Gandolfi e Pamela Peruzzo, Caschi Bianchi Apg23 a Chalna

Siamo a Dhaka, sono le 16.30 e dopo 13 ore di viaggio stiamo aspettando finalmente di imbarcarci sull’ultimo volo. Che emozione, 230 Km ci separano dalla nostra destinazione. Sono le 17.30 ancora attendiamo e nessuno sembra comunicare variazioni di marcia. Non possiamo essere così distratte da averlo perso, pensiamo. Infatti. Con un’ora di ritardo saliamo a bordo di uno sgangherato aereo, simile ad un autobus con elica e ali. A rendere il tutto più bizzarro è l’inusuale colonia di zanzare che lo popola. L’hostess ci fa accomodare ai nostri posti, si scusa per il disagio e porge noi in dotazione delle sofisticate racchette ammazza moschini. Con uno sguardo di condivisa comprensione scoppiamo in un riso beffardo e nella nostra mente riesuma la domanda che amici e familiari ci posero un mese prima: perché il Bangladesh?

Dopo un primissimo impatto, non totalmente rassicurante, giungiamo alla destinazione che diverrà la nostra casa per 10 mesi. Sono le 23.30, non facciamo in tempo a scendere dall’auto e a mettere piede a terra che veniamo invase da ragazzi e bambini, i quali, nonostante la tarda ora, hanno aspettano con ansiosa gioia il nostro arrivo. Possiamo sicuramente dare una prima chiara risposta alle iniziali preoccupazioni.

La bellezza nel mondo ancora esiste, basta lasciarsi portare dal bambino che si è stati. Non smettere di stupirsi è così facile, basta osservare. L’esempio sono loro: un bambino di 10 anni nato malformato, senza gambe e un solo braccio, la cui tenacia l’ha portato a trovare un suo modo di correre, di fare le scale e arrampicarsi sugli alberi; una ragazza di 13 anni in sedia a rotelle essere la voce mai nata di una sordomuta coetanea; una ragazza affetta dalla sindrome di down, con lineamenti da donna e bisogni da bambina, prendersi cura di una compagna cieca lavandola e imboccandola.

Con la forza che pensavamo impossibile all’uomo, ogni accolto diviene aiutante, sfruttando totalmente le capacità di ognuno è possibile garantire e affidare responsabilità, producendo autostima e soddisfazione.
Di fronte a questo amore incondizionato, dopo un solo mese qui, possiamo senz’altro mettere in secondo piano le paure che, a pochi giorni dalla partenza, crescevano in noi, dettate dall’idea di isolamento forzato, dal timore di non poter fare una passeggiata senza avere gli occhi puntati addosso, poiché uniche donne bianche, le quali ci portarono a pensare che, probabilmente, non avremmo potuto vivere la nostra esperienza appieno.
Ora, invece, abbiamo la certezza che è la capacità di cambiare prospettiva a permettere alle relazioni di andare avanti, ridimensionando i punti di vista, non smettendo di analizzare i diversi volti della verità.

La missione Pope John XXIII in Bangladesh

La missione Pope John XXIII si trova a Chalna Bazar, nel distretto di Khulna, la terza città più grande del Bangladesh, a sud ovest dalla capitale Dhaka. Geograficamente svantaggiato e sostanzialmente uno stato nuovo in quanto creatosi nel 1971 dalla rivendicazione di indipendenza dall’India, il Bangladesh è turisticamente privo di grandi siti storici. Terribili persecuzioni avvenute nei confronti dei cristiani negli ultimi anni, tra le quali l’attentato del 2016 a Dhaka, hanno costretto la missione della Comunità Papa Giovanni XXIII ad inasprire i controlli e aumentare le misure di sicurezza. La missione è di fatto recintata da un muro e sottoposta ai controlli delle guardie h24.
Tutto è iniziato nel 1999 quando, grazie all’impegno di pochi missionari, si è dato vita alla realizzazione di 4 strutture residenziali per minori, disabili, bambini di strada e piccoli nuclei familiari dove vengono accolti anziani e persone affette da disturbi psichiatrici. All’interno delle strutture si sono sviluppati progetti ed attività che hanno sempre privilegiato l’aspetto di accoglienza e condivisione. Nel corso degli anni, con l’accrescersi di forze e possibilità, i programmi si sono potuti ampliare e maggiormente arricchire attraverso la realizzazione di un modesto centro di fisioterapia per disabili fisici e psichiatrici, usufruibile sia dagli accolti all’interno della struttura sia da esterni provenienti dai villaggi vicini, di una struttura scolastica impegnata a garantire attività di dopo scuola e aiuto compiti e di una mensa che distribuisce in media 1000 pasti al giorno ai bambini che frequentano la scuola, agli accolti e agli operai del villaggio. Si aggiunsero successivamente anche un’assistenza psichiatrica e l’attività di distribuzione di latte, elementi che permettono una diretta comunicazione e valutazione dei richiedenti aiuto.

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