Questa volta, arriviamo con la macchina della commissione, guidata da Percy, il nostro choffer. Abbiamo in programma una riunione sui prodotti locali e i canali di promozione degli stessi.
Sono le tre e siamo arrivati con un’ora di anticipo. Tuttavia, alle quattro ancora non si presenta nessuno, ma sarebbe alquanto utopico pensare di veder entrare qualche beneficiario a quest’ora. Aspettiamo mezz’ora, chiamiamo i beneficiari uno ad uno attraverso un microfono collegato ad un megafono situato all’interno di un campanile dove un tempo stavano le campane, li chiamiamo poi direttamente per telefono (tutti spenti o non raggiungibili). Aspettiamo un’ora. Finalmente arriva una delle beneficiarie più attive del progetto, Edelisa (a cui io mi sono effettivamente affezionata). Sorge un problema: le donne che fanno parte del nostro progetto stanno piantando dei pini per il progetto tenutosi la mattina stessa. I pini sono cento e gliene mancheranno ancora una trentina mas o menos. Ahorita llegan (“Ora arrivano”). Quanto dovremo aspettare? Ancora non sappiamo. Aspettiamo e basta.
Alla fine, il taller inizia alle 17.45, quasi due ore più tardi di ciò che era stato pianificato. Si sono aggiunti altri quattro beneficiari (non molti, purtroppo, anzi, pochissimi). Concludiamo il taller, decidiamo una data per la prossima riunione, chiudiamo tutto, diamo il consueto refrigerio (“merenda”) salutiamo e alle 19.10 saliamo in macchina per essere di ritorno a Huancayo alle 20.10.
Un passo indietro.
Questa riunione avrebbe già dovuto essere tenuta sabato scorso, ma poiché abbiamo dovuto rimandare (dopo una sveglia alle 6.30 e tre ore di strada) a causa di assenza di persone, l’abbiamo riprogrammata per questa giornata. Il “bello” è che proprio i beneficiari stessi ci avevano chiesto di venire un giorno festivo perché durante la settimana sono più occupati. E quindi? Eravamo arrivati il sabato scoprendo -dopo un’ora che li aspettavamo- che erano tutti tranne due (circa 12) al cimitero a celebrare il funerale di un signore della comunità o in suo ricordo, questo non l’ho capito.
Pensiero.
E’ proprio vero che dopo che vivi e lavori qui anche solo da sette mesi non ti sorprendi più di questi ritardi, di un’ora o mezza a volte due, e della serenità con cui arrivano i tuoi beneficiari. E non è mancanza di rispetto, almeno questo credo di aver capito, ma necessità di fare tante altre cose, forse più imminenti (e non sempre necessariamente più importanti). Arrivano sorridendo, coi ferri della maglia tra le mani e le mani sporche di terra, si siedono sulle seggioline di plastica e aspettano di iniziare. E quindi, dentro di me, solitamente, avveniva questo: iniziale fastidio per la apparente mancanza di rispetto per noi lavoratori, freddo, voglia di andarmene, calma dopo la tempesta e finalmente l’arrendevolezza.
Oggi, le donne di Aramachay arrivano e io non so cosa dire vedendole entrare. Le guardo, ci chiacchiero, sorrido, le faccio firmare i soliti fogli di presenza e mi passa la voglia di chiedere perché sono arrivate tardi. Tanto lo so, qui il tempo non ha tempo. Qui ci sono cose, tipo il lavoro del campo o i bambini, che hanno delle priorità assolute, imprescindibili e anche se la volta precedente ci mettiamo d’accordo con loro su un orario. Come posso pensare che lo rispetteranno se nemmeno hanno un orologio al polso o un cellulare che gli indichi l’ora? Il campo non aspetta, la vita nei campi ha delle priorità, dettate dal meteo, dalla semina, dal raccolto e dagli imprevisti. Noi invece? Ci saremo anche domani e dopo e il giorno dopo ancora. Le nostre diapositive e chiacchiere le possiamo sempre rimandare di qualche ora, o mal che vada, alla prossima volta. Loro sono i nostri beneficiari e di loro abbiamo bisogno.
Nota bene.
Mi pare importante sottolineare che, spesso, molto dipende dall’organizzazione della comunità stessa e dai singoli beneficiari. Le comunità meno abituate a ricevere talleres possono essere meno sensibili a tutto ciò che riguarda la puntualità, la partecipazione e la sensibilità verso il lavoro di chi è lì per lavorare con loro.
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