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Corpi Civili di Pace Tanzania

”MAY I COME IN?” L’inclusione scolastica dei bambini con disabilità in Tanzania

Sul muro che delimita l’ingresso alla scuola di Mambegu, un piccolo e sperduto villaggio nel sud della Tanzania, si legge ”Elimu ni nuru”, che tradotto dal swahili significa ”L’istruzione è luce”.

Scritto da Sabina Calzolari, Corpo Civile di Pace con Cesc Project a Wanging’ombe

La consapevolezza dell’importanza dell’educazione è ormai radicata nella popolazione tanzaniana, tanto che le famiglie con qualche possibilità economica investono gran parte delle loro risorse per garantire ai figli la possibilità di studiare. Il tasso attuale di alfabetizzazione si attesta al 78%1, ma sembra destinato a crescere. La Tanzania è oggi un paese che offre alle nuove generazioni, se in possesso di una buona istruzione, prospettive di un futuro migliore. Si trova attualmente al diciottesimo posto mondiale nella classifica del tasso di crescita del PIL2, al sesto in Africa.
La scuola pubblica primaria, gratuita e obbligatoria, è tuttavia ancora molto distante dagli standard qualitativi del nostro ”primo mondo”: le classi sono composte da 80 bambini in media; mancano totalmente libri di testo, materiali scolastici e spesso anche sedie e banchi; il rapporto numerico insegnante-alunni costringe ad un approccio educativo mnemonico e che ignora le esigenze del singolo alunno. Si insegnano alcune frasi in inglese, la seconda lingua nazionale, imparate come filastrocche: ”May I come in?”, chiedono i bambini al loro insegnante prima di entrare in classe, talvolta senza ricevere risposta.

Sulla porta di un sistema scolastico fragile e carente, con un filo di voce, anche i bambini con disabilità chiedono il permesso di entrare. Lo fanno per avere un’oppurtunità in più di crescere, di condividere le giornate con i loro coetanei e di sgretolare a piccoli colpi il muro che li tiene ancora nell’ombra.

Mentre nel 2010 veniva varata un’importantissima legge a tutela delle persone con disabilità (”Disability act”), in tutto il territorio si rilevavano ancora numerosi casi di minori disabili chiusi nelle loro case e nascosti alla comunità e tuttora i diritti a loro garantiti per legge non vengono spesso riconosciuti. Le autorità governative a tutti i livelli, specialmente a quello locale, raramente sono a conoscenza della legge sulla disabilità.
Il diritto allo studio è garantito in un articolo della legge che recita: ”Le persone con disabilità, di ogni età e sesso, hanno gli stessi diritti di accesso all’istruzione […] degli altri cittadini”
Nella pratica, invece, sono numerosi i casi di bambini rifiutati da scuole pubbliche e private, perché considerati non in grado di imparare; altri costretti a rinunciare all’educazione per problemi di costi, trasporto, barriere architettoniche o scarso appoggio della famiglia stessa.
Tra loro anche i bambini albini, etichettati come ”disabili della pelle”, definizione che rende evidente la scarsa conoscenza della loro disabilità che si evidenzia esclusivamente in un problema di ipovisione, più o meno grave.

In un contesto ancora ostile, si iniziano tuttavia a rilevare i primi successi, da una parte indotti dall’intervento governativo, dall’altra spinti dalle famiglie dei bambini disabili e da altre organizzazioni, locali e non, che si occupano in diverse forme di disabilità. Anche grazie al supporto di programmi di inclusione scolastica come quello del centro riabilitativo su base comunitaria “Inuka”4, attraverso il quale sono seguiti e incoraggiati allo studio diversi bambini disabili inseriti nelle scuole del circondario,  non è più una rarità vedere un ragazzino diversamente abile seduto al banco di una scuola pubblica.
Alcune scuole, con una particolare ”vocazione”, hanno istituito strutture di accoglienza residenziale dedicate esclusivamente ai disabili e accolgono bambini anche da zone piuttosto lontane. Nelle stesse scuole è più facile trovare insegnanti formati nell’ambito dell’educazione speciale e programmi dedicati per bambini ipovedenti.

Nonostante un incremento del numero di disabili inseriti nelle scuole, sono ancora diverse le lacune del sistema.
In primis molti dei passi fatti verso l’inclusione sono stati possibili grazie a iniziative personali, di rare strutture scolastiche o di altre organizzazioni; le istituzioni governative si dimostrano ancora poco sensibili al problema e spesso incapaci o disinteressate a mettere in pratica misure efficaci.
Laddove il bambino disabile è inserito a scuola, si rileva spesso una parziale conoscenza delle sue esigenze da parte del personale educativo, fino a casi in cui sono istituite classi speciali di bambini con disabilità intellettive, insomma il contrario di inclusione. Quando invece gli insegnanti sono formati e attenti, ci si scontra ancora con la difficoltà pratica di una classe formata da 80 studenti.

È vero, qualcuno potrebbe dire che la Tanzania si trova ancora ad affrontare problemi ben più importanti e garantire alle persone con disabilità il loro diritto allo studio potrebbe passare in secondo piano.
Eppure sono 4,2 milioni le persone con disabilità5 censite nel paese che se ignorate nei loro diritti rappresenteranno un peso sociale ed economico sempre maggiore.
La legge già esiste e non resta che renderla effettiva, ecco perché il compito fondamentale delle ONG, delle associazioni di persone con disabilità e dei singoli interessati al problema, è quello di spingere le istituzioni governative ad essere parte attiva nel cambiamento e non cercare di colmarne le carenze.

1 Fonte: www.indexmundi.com
2 Fonte: www.indexmundi.com
3 Per leggere il testo completo
4 Inuka Southern Highlands Community Based Rehabilitation
5 Fonte: http://www.ccbrt.or.tz/programmes/disability/disability-in-tanzania/

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