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Corpi Civili di Pace Perù

Quale futuro per i Corpi Civili di Pace?

Sono un Corpo Civile di Pace in servizio a Lima, Perú. Mi sto abituando ad utilizzare questo termine, “Corpo”. Lo faccio uscire d’un solo fiato dalla mia bocca, ponendo le labbra ad anello per poi richiuderle leggermente sul suono della “p”, ogni volta che mi viene chiesto che cosa faccio nella vita, o meglio, in questo preciso momento della mia vita. Anche i Corpi Civili di Pace sono, per ora, un servizio precario.

Scritto da Arianna Pasa, Corpo Civile di Pace con FOCSIV

All’inizio era una parola che non mi piaceva per quel fardello di storia militare che lo connota. Dice infatti Machiavelli in Dell’arte della guerra: “Usarono i Romani, nel principio, le Falangi, e instruirono le loro Legioni a similitudine di quelle. Dipoi non piacque loro questo ordine, e divisero le Legioni in più corpi, cioè in coorti e in manipuli; perchè giudicarono, […], che quel corpo avesse più vita, che avesse più anime, e che fusse composto di più parti, in modo che ciascheduna per se stessa si reggesse.”
Tuttavia, il vocabolo è talmente ricco di significati che la versione on line della Treccani gli dedica ben 203 righe. Cosí ripenso al mio di corpo, che prima che di pace, è corpo di donna, campo di battaglia dell’emancipazione femminile e mi viene in mente la canzone di Fufi Sonnino:

È la storia di una cosa
nata sotto un fiocco rosa
lo volevano celeste
per paura della peste
[…]

La tua bambola fu l’arma
che inventò la vocazione
d’esser sposa d’esser madre
di servire ad un padrone
il peccato ti prescelse
sin dal tempo della mela
sul tuo corpo ancora passa
questa storia senza vela
[…]

E mi chiedo se il nostro “fiocco”, di Corpi Civili di Pace, è quello che avrebbe voluto Alexander Langer, o se invece siamo dei figli illegittimi della legge finanziaria 2014. Nati di notte, quasi di nascosto, forse qualcuno avrebbe voluto l’aborto?

Poi c´è la seconda parte del mestiere: “di Pace”. Per definizione è assenza di guerre o di conflitti, ma nel suo significato positivo è molto di piú e, come sancisce l’art. 28 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, “Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.” Ovvero la pace, non solo è utile per sé stessa (si risparmiano vite umane, si preservano la flora e la fauna e si tutela il patrimonio artistico e culturale), ma diventa condizione necessaria ed imprescindibile per la piena realizzazione delle libertá e dei diritti umani. In tempo di pace l’essere umano puó migliorare il suo benessere psico-fisico nel rispetto della natura alla quale appartiene, possono fiorire le idee e gli scambi, si sviluppano l’educazione e la ricerca, l’arte e la cultura.

La pace peró è una colomba fragile che va protetta. La pace si prepara, ci si lavora, si costruisce. Nel 2016, con l’approvazione, su raccomandazione del Consiglio diritti umani, della “Dichiarazione sul diritto alla pace” da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si è riconosciuto formalmente il diritto fondamentale di ogni individuo a godere della pace, ma in un mondo dove la Carta delle Nazioni Unite, al Cap. VII, fallisce nell’essere attuata, bisogna promuovere lo ius ad pacem quotidianamente, seguendo l’esempio del professore emerito Antonio Papisca che tanto si è speso per la causa. La pace si crea e la pace si difende.

Di conseguenza, come Corpo Civile di Pace, sento l’onere e l’onore di fare parte di tale sperimentazione e di diffondere la cultura della pace, della nonviolenza e della tolleranza. Ogni giorno mi chiedo se sto facendo abbastanza e ho sempre l’impressione che il mio granello di sabbia sia troppo poco per affrontare le sfide globali ed esistenziali che ci si parano davanti. Ciò nonostante, tutte le mattine, prendo in mano la bici e faccio fronte al traffico limegno. L’odore intenso dei gas di scarico delle auto mi entra dalle narici, il continuo strombazzare dei clacson mi perfora i timpani, ma per farmi forza penso che sono una persona in meno ad inquinare il nostro pianeta.

Mi occupo di conflitti socio-ambientali e non posso fare a meno di partire dal buon esempio. Riscrivo quindi il significato del mio corpo, che si fa strumento di scelte etiche e di responsabilizzazione costante. Siamo professionisti e la nostra morale ci impedisce di fare diversamente. Tutti, come individui, contiamo e tutte le nostre azioni possono avere un impatto positivo o negativo sull’ambiente che ci circonda. In ufficio e nelle missioni sul campo, seguo sostanzialmente due progetti.

Il primo, in un’ottica di risoluzione del conflitto, è di supporto a quattro comunità che convivono con i residui tossici abbandonati (nel territorio si è riscontrata la presenza di metalli pesanti quali piombo, arsenico, mercurio e cadmio) dalle imprese minerarie che hanno estratto rame, piombo, bismuto, oro, argento, zinco e vanadio agli inizi del Novecento. In primo luogo, sosteniamo i leader delle comunità affinché continuino a sensibilizzare e coscientizzare i propri concittadini sui diritti e doveri spettanti, in particolare il diritto alla salute, il diritto all’acqua potabile e il diritto a vivere in un ambiente sano e il corrispettivo dovere di rispettarlo. In secondo luogo, portiamo alla luce il caso, facendo pressione sullo Stato, affinché prenda le misure necessarie per bonificare l’area di sua competenza e per garantire quei diritti umani che vengono per ora violati.

Il secondo, si muove nel terreno incerto della prevenzione dei conflitti, relazionando cambiamento climatico, sicurezza alimentare ed economia solidale. Come evidenziato dal Direttore Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) durante la giornata mondiale dell’alimentazione 2017, una delle grandi sfide che dovrà affrontare la comunità internazionale nei prossimi anni, e che in parte è già iniziata, è la migrazione causata dall’estremizzazione dei fenomeni atmosferici. Milioni di persone giá si vedono costrette ad abbandonare le loro abitazioni e le loro terre per occupare territori piú atti alla vita umana e l’accaparramento delle risorse metterá a dura prova la pace. Attraverso una ricerca nelle aree che sono state piú colpite all’inizio del 2017 dal fenomeno del Niño Costero, stiamo cercando di capire come ridurre il rischio di insicurezza alimentare in quelle zone dove si prevede che il cambiamento climatico avrá un maggiore impatto. Vogliamo capire quali misure si possono adottare, partendo da un approccio basato sui diritti umani, in particolare il diritto all’alimentazione adeguata, per sviluppare comunitá rurali piú resilienti, che possano mitigare gli effetti del cambiamento climatico ed adattarsi a tale fenomeno.

In conclusione, essere Corpo Civile di Pace è una missione, una missione che richiede non solo tutto il nostro impegno e la nostra professionalitá, ma anche la fiducia e il supporto degli enti che scrivono, monitorano e valutano i progetti. In congiunto dobbiamo costruire questa figura che si affaccia sul panorama mondiale e per farlo dobbiamo definire il ruolo dei Corpi Civili di Pace e distinguerli dal Servizio Civile, affinché possano avere un futuro indipendente ed essere una nuova prospettiva della politica estera italiana. C’è la necessitá di professionalizzare l’incarico, affinare il mandato e ottimizzare l’utilizzo delle risorse. Sono un´idealista.

Ci sará un futuro per noi.

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