Ma le donne di tutto il mondo si sono davvero unite il 24 novembre 2017 a Tena, una piccola città ecuadoriana alle porte della foresta amazzonica che per una mattina ha rappresentato uno spaccato etnico e sociale della realtà femminile mondiale. Si sono unite e sono scese in piazza per rivendicare i loro diritti, per fermare le violenze fisiche e psicologiche, per esigere che la giustizia condanni i loro violentatori; tra loro, indigene, afro, mestizas c’eravamo anche noi, le europee e le gringas. Tutte insieme abbiamo sfilato facendo sentire la nostra voce come un unico grido di ribellione che voleva simbolicamente “rompere il silenzio” contro le ingiustizie da un lato, e l’omertà dall’altro. L’omertà di tutti quegli uomini e donne che di fronte a episodi di maltrattamenti tacciono o minimizzano, lasciando che il silenzio e l’oblio facciano il loro lavoro.
La storia della violenza di genere nell’Ecuador contemporaneo e in particolare nella regione amazzonica è una storia tristemente nota in Sud America. Nonostante i passi avanti fatti dalla nazione negli ultimi anni, il Paese continua ad essere fortemente machista e questo machismo emerge in primis dall’esclusione delle donne dalla maggioranza dei ruoli e delle cariche di potere. D’altro canto, la violenza di genere in Ecuador si mostra attraverso elementi più sottili, difficilmente visibili a un primo sguardo. Prima di tutto, la discriminazione nei confronti del genere femminile trova terreno fertile all’interno di una più ampia discriminazione razziale che stigmatizza l’intera fetta di popolazione indigena, che conta un 7% della popolazione complessiva. Le donne indigene risultano essere quelle che maggiormente soffrono violenza fisica e psicologica, rappresentando circa il 67,8% in base ai dati raccolti dall’Istituto Nazionale di Statistica e Censo del 2010. Nella provincia del Napo, i numeri rispecchiano tristemente la tendenza nazionale, infatti le donne vittime di maltrattamenti rappresentano un 65,3% della popolazione.
La posizione delle donne all’interno delle comunità indigene che circondano la città di Tena è forse più problematica rispetto a quelle che vivono nel contesto urbano. “I nostri mariti ci ostacolano, non vogliono che lasciamo la nostra abitazione per svolgere il nostro lavoro, non si fidano” racconta Ofelia Salazar, partera (ostetrica) che fa parte di AMUPAKIN (Associazione delle Donne Ostetriche Kichwa dell’Alto Napo), organizzazione sorta a metà degli anni novanta con l’obiettivo di rivendicare e valorizzare i saperi riferiti alla medicina naturale della selva, concentrandosi in particolare sul parto. Le donne parteras, che oggi sono riuscite ad organizzarsi e ad ottenere importanti riconoscimenti nella provincia, sono state le prime che hanno dovuto scontrarsi con questa mentalità maschilista che vede le donne come “angeli del focolare”, costrette a restare a casa per accudire la famiglia. Peccato però che la donna indigena svolga un lavoro importante per il quale non ottiene nessun riconoscimento, ovvero la gestione della chakra, sistema agroforestale in cui si combinano alberi da legno con coltivazioni a ciclo corto. Come loro, molte altre donne subiscono violenza quotidianamente; la cui dose si rincara nel momento in cui decidono di denunciare l’accaduto. L’intricato iter burocratico, la quasi totale assenza di appoggio psicologico e la tendenza a voler risolvere questi problemi “all’interno della comunità” contribuiscono ad isolare sempre di più queste donne, innescando un particolare meccanismo psicologico in cui la vittima si sente in qualche modo colpevole dell’accaduto.
La realizzazione della “Marcha Naranja” e la visita dell’ambasciatore francese in occasione della firma del convegno con Patou Solidaritée, le autorità della provincia del Napo e dei municipi di Tena e Archidona per la creazione della Casa di Accoglienza per donne vittime di maltrattamenti, rappresentano risultati importanti nell’ambito dell’eradicazione della violenza di genere.
La consapevolezza che il cammino appena intrapreso sarà lungo e pieno di ostacoli è alta, in ogni caso questi risultati rappresentano piccoli passi avanti per sensibilizzare la popolazione locale a non restare in silenzio di fronte ad atti di violenza, che essi siano fisici, psicologici o sessuali.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!