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Corpi Civili di Pace Perù

Lima di sabbia

Polvere e sabbia. Hanno bussato alla porta. C’è brusio, vociare indistinto. Bambini, senza dubbio. Lo stridio metallico del chiavistello schiude un nuovo giorno al Centro Louis Berger. Appena si spalanca l’uscio appare lui, seduto in una bella panchina, elegante, scultoreo, cappello inconfondibile, libro in mano.

Scritto da Luca Bini, Corpo Civile di Pace con FOCSIV-IBO Italia a Lima

Impeccabile. Indifferente ed allo stesso tempo fedele compagno di viaggio dei ragazzini. Un murales leggermente scolorito dal tempo alle sue spalle reca il monito: “Soñamos como el Quijote”. È Don Quijote de la Mancha. È solo una statua, ma la sua anima ha dato corpo e sostanza all’avventura che Eddy e Lis hanno iniziato 11 anni fa.

Polvere e sabbia. Siamo a Santa Rosa, quartiere di 15000 anime alla periferia nord di Lima. Lo chiamano insediamento umano. A ricordare la precarietà su cui è stato costruito una quarantina di anni fa. D’altronde non si può biasimare una città aggredita dalle migrazioni interne che ha visto passare i suoi abitanti negli ultimi 80 anni da 500000 a circa 10 milioni. Ci sono una strada d’accesso percorsa perlopiù da frenetici mototaxi, un lungo viale con pochi e delicati spazi verdi, alcune botteghe e trattorie. Il tutto contornato da case, senza un vero ordine, dai colori più disparati e intonacate solo sulla facciata, incompiute, pronte ad essere rimodulate, ingrandite, ricostruite. Servizi scarsi e murales dei candidati sindaco che annunciano l’ennesima promessa di cambiamento. Colline desertiche che lo proteggono, ovattano l’ambiente. Insomma, profondo Perù. A due passi dal centro. Nel barrio c’è senso di abbandono. La gente però non molla, (soprav)vive con dignità. Qualche folle sogna, crea, ha fiducia, spera in un mondo migliore per i propri figli.

Da copione ci si sposa giovani nel quartiere, genitori precoci, famiglie numerose e allargate. I padri lavorano lontano, in centro, ripetendo una quotidiana odissea di traffico che li tiene lontani da casa fino a tarda sera. Le mamme hanno il peso sulle spalle della cura dei figli. La scuola non è sufficiente. È da questi presupposti che Eddy e Lis hanno inventato il progetto “Quijote Para La Vida”, centro dopo e prima della scuola dotato di biblioteca per formare dei ragazzi che possano diventare dei leader culturali nel frammentato barrio. Pensavano, nel 2006, a cosa fare per i loro futuri figli. Ma anche per gli altri ragazzi del quartiere. Perché sono tutti un po’ figli dello stesso incerto destino. Decisero di utilizzare un ampio salone adiacente alla loro abitazione. Ma si accorsero presto che non sarebbe bastato. Costruirono alla sommità altri due piani per rendere l’esperienza dei bambini più completa. Di tasca loro. Senza alcun ritorno economico. Leader culturali. Percorso difficile, in cui tramite alcuni laboratori di lettura, poesia, matematica, scrittura, ginnastica e sport, tra gli altri, si cerca di innescare nei ragazzi la scintilla, di renderli coscienti di quanto sia importante nella vita la cultura nelle più svariate delle sue declinazioni. E al contempo di toglierli dalla strada. Sono ragazzini tra i 6 e gli 11 anni, dalle abilità differenti, che frequentano il centro e la cosiddetta biblioteca tutti i giorni, annusando l’odore dei libri che altrove difficilmente proverebbero. È un conoscersi quotidiano, non sono molto abituati alla lettura, vivendo in uno dei paesi in cui si legge meno al mondo. La confidenza con il libro non è immediata. Ma ci provano. Magari capiscono che non è tempo perso.

Poi ci siamo io e la mia collega Valentina. I marziani. Venuti da oltre oceano. Nel progetto dei Corpi Civili di Pace di IBO Italia “Lotta alla discriminazione dei migranti nelle periferie di Lima”. Per undici mesi da fine giugno. Ne mancano ancora otto. Lavoro prettamente con il mio gruppo, i “Molinos de viento”, simpatici e stralunati eroi moderni. In quell’angolo di capitale che nemmeno i limeños conoscono. È una città strana Lima. Discordante. È deserto a ridosso del Pacifico. Striscia di terra ai piedi delle Ande. Non piove mai, il sole si nasconde. È un deserto pieno di vita, rumoroso, caotico, disordinato. Talmente incomprensibile da sembrare tutto chiaro a volte, logico. Insediamenti umani opposti a quartieri di lusso, ricchi e poveri che si sfiorano e non si toccano mai. Disagio pieno di vita.

Eppure anche i Corpi Civili di Pace sono abbastanza contraddittori. Volontari, ma anche cooperanti. Promotori di pace, in paesi in cui la guerra di fatto non c’è. Altri dal Servizio Civile all’estero, ma alla base non si capisce cosa cambi. Sognatori abbastanza disillusi. Tolleranti e rispettosi degli altri, ma fermi nelle nostre convinzioni. Idealisti che scendono spesso a patti con la realtà. Resilienti fragili.

Forse sono solo etichette. Probabilmente parlo di me. Di sicuro non ho certezze. Quando lavoro con i bambini, mi costruisco le mie verità. La mia logica. Poi, a mente fredda penso sempre: A loro serve ciò che stiamo facendo? Perché? Ecco, non trovo mai una risposta chiara. Solo dubbi. Ma una cosa credo di averla capita. È quando smetterò di farmi queste domande che saprò di non essere più utile.

“Malo!”. Cattivo. Così alcuni ragazzi mi apostrofano. Perché sono esigente con loro, cerco di alzare l’asticella. Pungolo la concentrazione. Ma me lo dicono abbracciandomi, con il sorriso. Forse capiscono che anch’io posso sbagliare, a volte arrabbiarmi. Maledirli tra me e me. Ma di loro mi importa. Sono umano allo stesso modo, stessi pregi e difetti. Ogni giorno tento di insegnare loro qualcosa e puntualmente mi restituiscono una lezione di vita con gli interessi. È qui che credo di aver trovato la mia ricchezza interiore, la vedo nei loro sorrisi sdentati di umanità. Tra la polvere e la sabbia scorgo una speranza. Forse non combatto contro i mulini a vento.

(Foto Valentina Chendi)

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