L’11 settembre riporta subito alla mente l’attacco terroristico del 2001 alle Torri Gemelle del World Trade Center di New York. Un evento così tragico che vide un bilancio di circa 3000 morti e gli Stati Uniti nonché il mondo intero completamente sconvolti. Un altro 11 settembre però, e aggiungerei purtroppo, è passato alla storia, divenendo una data incancellabile nella storia del Cile così come in quella dell’umanità.
All’alba dell’11 settembre del 1973, il Generale Augusto Pinochet, Capo delle Forze Armate cilene, ordinava l’assedio e il conseguente bombardamento del palazzo presidenziale de “La Moneda”, dando così via ad un cruento golpe che portò alla morte del Presidente, democraticamente eletto, Salvador Allende, il quale rimasto solo a difesa del palazzo presidenziale, rifiutò di dare le proprie dimissioni come gli avevano ordinato i golpisti. Prima di morire, Allende pronunciò il suo ultimo discorso radiofonico alla nazione: “Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento”. Alle ore 14, tutto era finito. La morte di Allende rappresentò la morte della democrazia e la nascita di una delle più terribili e sanguinose dittature. Da quel giorno la parola desaparecido (scomparso) divenne un termine più che comune, migliaia di oppositori politici vennero catturati, torturati, uccisi ed infine fatti scomparire. Oggi però vorrei più focalizzarmi su un evento che, con tutta la sua valenza politica e mediatica, può essere ben iscritto nella storia del movimento nonviolento: il referendum del 1988.
Prima di arrivare al 5 ottobre del 1988, data del voto, dobbiamo però fare qualche passo indietro. Il primo passo di questo percorso storico è il 1983. Dopo dieci anni di feroce repressione e assoluto terrore, il Cile viveva una grave crisi economica e la disoccupazione era salita al 30% cosicché le prime forme di opposizione al regime cominciarono a fiorire nel settore economico e più precisamente tra le gallerie delle miniere di rame, che rappresentava un prodotto fondamentale nelle esportazioni cilene. Il sindacato nazionale dei minatori organizzò uno sciopero. Ben presto, però, al fine di evitare spargimenti di sangue, in quanto l’esercito aveva già accerchiato la miniera da cui era partita la protesta, i dirigenti del sindacato sospesero lo sciopero e proclamarono l’11 maggio 1983 un giorno nazionale di protesta, la cui finalità era di scuotere le coscienze dei cittadini cileni in merito alla situazione economica e soprattutto politica del paese. Molti negozi rimasero chiusi ed in serata la gente scese per la strade con pentole e mestoli per creare un’onda rumorosa, accompagnata anche da caroselli di macchine. Il giorno dopo, il sindacato decise di organizzare una protesta (Jornadas de Protesta Nacional ) ogni mese in forma assolutamente nonviolenta. L’euforia saliva e molti pensavano che le proteste avrebbero portato sempre più alla caduta della dittatura. Repressione ed intimidazione però furono le risposte di Pinochet. Durante la quarta protesta, quella del mese di agosto, 18.000 soldati furono dispiegati lungo le strade, alla protesta nonviolenta fece da contraltare una forza inaudita e repressiva della polizia che portò alla morte di circa 80 manifestanti e alla fine di questa prima grande fase di opposizione.
Nonostante il duro colpo ricevuto, l’opposizione si riorganizzò in un unico fronte nonviolento che sancì la nascita, il 25 agosto 1985, dell’“Acuerdo Nacional para la Transición a la Plena Democracia”. Durante lo stesso anno, alla fine di novembre, mezzo milione di persone si radunarono per partecipare al più grande meeting politico della storia cilena. Gabriel Valdes, grande esponente del Partido Demócrata Cristiano de Chile, parlò a nome di 11 partiti politici e della Chiesa cattolica. Quest’ultima che da sempre si era contraddistinta per una posizione conservatrice, ora si opponeva al regime per la violazione perpetrata dei diritti umani. L’opposizione nonviolenta, però, doveva fare i conti non solo con il regime repressivo di Pinochet quanto anche con altre fazioni politiche che fomentavano una rivoluzione armata. Il Partido Comunista e il Partido Marxista, in particolare, erano pronti ad impugnare le armi per rispondere alla violenza con la violenza. Ci fu una vera e propria escalation, si iniziò dalle proteste con spargimenti di sangue fino ad arrivare al 7 settembre 1986, giorno dell’attentato all’auto dello stesso Pinochet, dovevo morirono 5 agenti della scorta. Tutti questi eventi sembravano il preludio di un’imminente guerra civile. Una via d’uscita da quello che poteva essere pericoloso quanto distruttivo e sanguinario vicolo cieco fu offerta dallo stesso dittatore o per meglio dire dalla Costituzione che egli stesso aveva fatto promulgare nel 1980. La Costituzione prevedeva che nel 1988 sarebbe stato proclamato un referendum ed i cittadini cileni sarebbero stati chiamati a votare sì o no al prolungamento di altri otto anni della presidenza di Pinochet. Il dittatore era sicuro della sua vittoria ed il referendum sarebbe stato solo una formalità per far continuare e consolidare il suo potere.
La regola base della campagna elettorale prevedeva che le due fazioni, quella favorevole e quella contraria al regime, avrebbero avuto uno spazio televisivo di 15 minuti ogni giorno per 27 giorni. Il fronte del “NO” sapeva benissimo che quello spazio televisivo avrebbe potuto rappresentare la strada nonviolenta per il cambiamento. Francisco Caledon, membro del partito democratico cristiano, e Eugenio Garcia, pubblicitario e direttore creativo della campagna, furono tra i principali artefici del miracolo politico del 1988. La prima strategia seguita fu quella di “colpire” gli elettori con gli orrori perpetrati dal regime attraverso filmati di esecuzioni, arresti e torture. “L’odio non avrebbe battuto l’odio”, però pensarono Garcia e i suoi collaboratori. Era necessario dare un valore positivo al NO, la cui essenza esprime un concetto negativo. Così nacquero il simbolo dell’arcobaleno che metaforicamente univa i colori delle diverse fazioni politiche oppositrici e che accompagnava il NO in cartelli, striscioni, magliette e bandiere, nacque anche un jingle molto orecchiabile e facile da cantare: “La alegría! Chile, la alegría ya viene”. “Dopo anni di repressione, il paese aveva bisogno di vivere in pace”, ha così spiegato Garcia. L’obiettivo era quindi di unire tutti i cileni e più che mai di ridare la speranza di un futuro migliore ma soprattutto libero.
Il video della Campagna del “NO”
Dal 5 settembre, data della prima trasmissione, Pinochet e il suo governo si resero conto che non era più scontata la vittoria, anzi per quanto potesse sembrar banale la forma di espressione adottata dai suoi oppositori, il messaggio trasmesso ebbe un impatto inatteso e positivamente sconvolgente. Per questo il lavoro di Garcia e Caledon e di quanti lavorano per il fronte del NO non fu così semplice. Non mancarono sabotaggi e censure e molti furono minacciati, malmenati e addirittura alcuni persero il loro lavoro. Furono giorni cruciali e tesi. Lo stesso Garcia dirà che non si dormiva per il timore e per l’adrenalina.
Arriviamo così al 5 ottobre quando più di 7 milioni di cileni, vale a dire il 97% degli aventi diritto, si recarono alle urne per decidere il loro futuro. Una “quieta” tensione predominò nei 22 mila seggi sparsi in tutto il paese. Dopo la chiusura delle urne, alle 19.30 arrivarono i primi risultati. Lo 0,4 dei seggi scrutinati dava la vittoria al “SI”, che si imponeva con il 58%. La tensione cominciava a salire e l’opposizione temeva che fosse stata messa in atto una manipolazione dei voti. Nell’ore successive vennero ufficializzati nuovi risultati che vedevano pian piano la risalita del “NO”. Alle 23 il colpo di scena: il “NO” vinceva. Non erano ancora stati scrutinati tutti i seggi ma la sconfitta di Pinochet era sempre più certa. Il dittatore all’una, dopo una riunione con i suoi ministri, incontrò i membri della giunta militare. Fernando Matthei , Capo delle Forza Aerea del Cile, intervistato dai giornalisti mentre si recava all’incontro con Pinochet, così dichiarò: “Ho abbastanza chiaro che il No abbia vinto però restiamo tranquilli.” La dichiarazione di Matthei fece esplodere la gioia nel paese. Alle 2 arrivarono i risultati definitivi: il “NO” aveva vinto con il 55,99% dei voti. “Il giorno della vittoria, il clima era fantastico, le persone in strada abbracciavano i poliziotti. C’erano magliette con l’arcobaleno ovunque” ha così dichiarato Garcia.
Nonostante si dovranno attendere altri due anni, dopo il referendum, prima di ritornare ad un ordine democratico, purtroppo tuttora inquinato dagli anni della dittatura, e nonostante il fatto che lo stesso Pinochet (morto nel 2006) non abbia pagato per nessuno dei suoi crimini, il 5 ottobre 1988 sancì la sconfitta, senza l’uso della violenza, di un regime che al contrario con la sua feroce violenza contava la morte di 3 mila dissidenti politici, 3 mila scomparsi e oltre 30 mila torturati.
La campagna del “NO” passerà alla storia non solo per il fatto di essere un limpido esempio di lotta nonviolenta quanto per la dimostrazione che la comunicazione pubblicitaria può essere messa a disposizione della politica e di valori ed ideali profondamente più elevati. La pubblicità non è solo una forma di manipolazione che conduce allo sfrenato materialismo o all’avido consumismo ma divenne in quest’occasione uno strumento attraverso cui scacciare la paura ed infondere il coraggio per dire no alla dittatura. L’ “Alegría” finalmente tornava in Cile.
*La storia della campagna elettorale del “NO” è stata anche presentata sul grande schermo dal film uscito in Italia con il titolo “NO – I giorni dell’Arcolableno”.
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