La Fortezza Bianca prova a farsi bella: ambiente e monumenti, destini intrecciati
Bijela Tabija, ovvero la Fortezza Bianca, è un’antica struttura militare che domina l’entrata a Sarajevo dalla parte orientale. Costruita nel 1555, era caduta in rovina già prima che, negli anni Novanta del Novecento, la guerra civile travolgesse la Bosnia Erzegovina e determinasse l’assedio della sua capitale. Nulla è cambiato dopo la guerra: un luogo che potrebbe essere meta e attrazione turistica (la vista panoramica sulla città è totale) è lasciato a se stesso ed è diventato una discarica a cielo aperto; mancano persino i cestini per la raccolta dei rifiuti. Lungo le mura, invece, ben visibili sono i segnali che invitano alla prudenza, perché il crollo delle pietre è possibile in ogni momento.
La decadenza, però, non è irreversibile. Grazie alla sensibilità di numerosi cittadini stanno mostrando sia al valore ambientale che a quello monumentale del luogo. In una domenica di marzo decine di volontari, muniti di guanti e tanta volontà, hanno raccolto nella zona circostante circa 200 sacchi di immondizia. Ridare dignità all’ambiente e ai monumenti: sfide intrecciate, da cui passa il futuro delle comunità.
E’ possibile parlare di tutela dell’ambiente, in territori e con popolazioni che stentano a riprendersi da guerre ancora vive nella memoria dei luoghi e delle persone? E che dunque devono fare i conti con problemi di ricostruzione (materiale, morale, politica e istituzionale) giganteschi? L’interrogativo si propone con calzante attualità a proposito della Bosnia Erzegovina, paese martoriato dalla guerra civile dal 1992 al 1995, e prigioniero oggi di un dopoguerra stagnante e snervante. Frammentazione politica ed etnica, disoccupazione (in particolare quella giovanile), mancanza di speranza e fuga all’estero sono i concetti chiave dell’attuale contesto bosniaco-erzegovese, determinato dalla guerra scaturita dalla dissoluzione della Jugoslavia. In base agli accordi di pace di Dayton, firmati nel 1995, lo stato fu diviso in due entità: la Repubblica Srpska, a maggioranza serba, e la Federazione di Bosnia Erzegovina, divisa in dieci cantoni autonomi. L’assetto avrebbe dovuto essere a breve termine, al fine di favorire la riconciliazione tra le etnie e le appartenenze religiose che popolano il paese. Invece, lo ha spezzettato ancora di più. Ne è conseguita un’instabilità perenne, che si è riflessa in particolare sulle nuove generazioni: la disoccupazione giovanile è estremamente alta (nel 2008 si attestava attorno al 50%, oggi supera ampiamente il 60%, dati World Bank) e tra i giovani la speranza riguardo alle sorti del paese è praticamente azzerata. «Mi sembrano stufi. Stufi di tutto – conferma monsignor Pero Sudar, vescovo ausiliare di Sarajevo, attivo nei settori della riconciliazione e dell’animazione giovanile – In molti scelgono di andare all’estero e non si può dare loro torto. Io a volte provo a parlare con loro, a dire che questo Paese ha bisogno di loro per crescere. Di solito rispondono che hanno una sola vita. E che di quelli che sono partiti, nemmeno uno è tornato indietro. Onestamente, è difficile controbattere». Anche i dati che riguardano la partecipazione dei giovani ad azioni di cittadinanza attiva destano preoccupazione: un’indagine del centro di ricerca Friedrich Ebert Stiftung (2015), ha evidenziato che solo il 19% dei giovani aveva svolto un’attività di volontariato nei 12 mesi precedenti all’intervista.
Bruciati, non raccolti
Se il mondo giovanile presenta evidenti segni di depressione, le cose non vanno meglio sul versante della protezione ambientale. Come riporta un report della Commissione europea di novembre 2016, in Bosnia Erzegovina non esistono una legislazione uniforme e una strategia comune a livello nazionale: i passi da compiere per migliorare la qualità dell’aria e per favorire la tutela del paesaggio e della biodiversità sono ancora molti.
Anche per quel che concerne la raccolta differenziata dei rifiuti, gli elementi di ritardo sono innumerevoli: oggetti e materiali di scarto vengono accumulati tutti insieme e succede spesso che vengano bruciati, invece che raccolti negli appositi spazi.
Il problema non è l’assenza di leggi, ma che queste non hanno una tendenza comune, e differiscono a seconda del cantone o dell’entità di appartenenza.
Lo stesso dicasi per la gestione dei rifiuti: esistono legislazioni e pratiche differenti tra Repubblica serba e Federazione croata-musulmana.
In particolare, nonostante il turismo e i consumi pro capite stiano aumentando negli ultimi anni, non si notano passi avanti in materia di riciclo dei rifiuti: esistono piccole realtà private che raccolgono carta, alluminio o vetro, pagando quote simboliche per ritirare il materiale accumulato, ma questa prassi non è diffusa, né pubblicizzata come un bene essenziale e decisivo per le sorti di un’economia e una società sostenibili.
Lo sforzo di “Inside!”
Eppure la Bosnia Erzegovina è, in quanto potenziale candidato all’entrata nell’Ue, destinatario di consistenti fondi europei, erogati per permettere al paese di raggiungere standard adeguati nei settori cruciali, e potere così completare il processo di adesione. In questo sforzo si è inserisce “Inside!”, progetto biennale iniziato nell’ottobre 2016 e finanziato proprio dall’Unione europea nell’ambito del programma Erasmus Plus. Attraverso una partnership tra Caritas Italiana (tramite le Caritas diocesane di Verona e Vittorio Veneto), l’organizzazione giovanile Ambasciatori di pace (con sede a Baqel, Albania) e il centro pastorale “Giovanni Paolo II” (Sarajevo), si intende promuovere la cittadinanza attiva tra i giovani, migliorare le loro competenze professionali e accrescere il senso di responsabilità nei confronti dell’ambiente tramite differenti attività di sensibilizzazione: dal riuso degli spazi abbandonati alla riduzione dei consumi al riciclaggio dei rifiuti. Le attività promosse dal progetto si rivolgono ai giovani e sono speculari in tutti i territori coinvolti, dati i numerosi problemi comuni che riguardano i tre paesi (scarsa partecipazione dei giovani a iniziative di cittadinanza attiva, forte disoccupazione giovanile e carenze di opportunità lavorative) e nonostante le differenze di sensibilità e attenzione sul tema da parte della società civile nei tre contesti. In Bosnia Erzegovina e Albania, infatti, è molto più complicato affrontare un tema così distante dai pensieri dei giovani.
Il progetto intende incrementare la sensibilità dei giovani nei confronti dell’ambiente mettendo in campo differenti azioni: sensibilizzazione nelle scuole, visite studio e scambio di buone pratiche, campagne di comunicazione, meeting aperti a giovani delle tre nazionalità dai 18 ai 27 anni. Nel primo anno del programma, si approfondirà in particolare il tema delle 3R (riuso, riciclo, riduzione dei consumi), nel secondo il tema della protezione ambientale e dell’eco-turismo.
Prove di convivenza
Lavorando su vari aspetti riguardanti la protezione ambientale – con proposte che riguardano il riciclo dei materiali e la promozione di una cultura del riuso, contro quella del consumo esasperato – le organizzazioni coinvolte cercano di mettere a fuoco anche aspetti tipici dei singoli contesti nazionali: a Sarajevo, per esempio, il centro Giovanni Paolo II, capofila di Inside!, ha organizzato le attività in modo tale da affrontare con i giovani partecipanti ulteriori problematiche, quali la separazione tra le diverse etnie e religioni. Il centro giovanile ha per esempio proposto ai partecipanti (circa 15 giovani, cattolici e ortodossi) di pulire, sistemare e piantare nuovi alberi e fiori in un giardino mal curato di una parrocchia ortodossa di Lukavica, ovvero la cosiddetta Sarajevo est, vicino al confine tra Federazione e Repubblica.
Questa attività è stata l’occasione anche per promuovere la coesistenza tra ragazzi appartenenti a diversi gruppi etnici e confessionali.
D’altronde, scrive papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, «insieme al patrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, culturale, artistico che è necessario per costruire una città abitabile: l’ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali dell’umanità nel loro significato più ampio». Pensare alla protezione dell’ambiente, cercando di ampliare l’orizzonte alla convivenza e alla valorizzazione delle culture, significa affermare «che gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni relative allo sviluppo sostenibile», come sta scritto nel primo principio della Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo del 14 giugno 1992. Riferimenti alti e lontani, che provano a mettere radici tra i giovani dei Balcani.
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