Sono arrivata quasi alla fine del mio anno di servizio civile all’estero e posso dire ora che questa esperienza mi ha dato molto piu’ di quanto io posso aver donato ad essa. Mi sono chiesta più volte cosa mi porterò a casa da questo anno in Zambia, e la risposta l’ho trovata nella sempicità delle piccole cose.
Vivere in questa terra rossa non significa solo “abitarci”, ma soprattutto “esserci”. Per me questo significa condividere quello che tu hai con quello che io ho, e stando qua ho avuto la dimostrazione che quello che ricevevo veniva da persone che non possedevano niente, eppure capaci di donarmi una ricchezza, pura e semplice, di cui forse andavo alla ricerca da tanto tempo.
Questa ricchezza l’ho trovata soprattutto quando ho iniziato a seguire il progetto delle adozioni a distanza, che mi ha permesso di conoscere da vicino le famiglie e le storie dei bambini sotto adozione. È stato nell’incontro con “l’altro” che ho imparato a conoscere meglio me stessa, i miei limiti e debolezze, imparando ad accettarli.
Tutte le volte che mi trovo sulle strade dissestate dei compound (baraccopoli) di Ndola o di Mansa, mi sento spogliata da tutti i miei schemi mentali, disarmata dalla semplice, vera e cruda realtà che vado ad incontrare. Camminare per le vie del compound è per me una scoperta continua, un modo di essere che mi mette di fronte tante situazioni e storie diverse che fanno emergere dentro di me anche tante domande. I volti che incontro, le situazioni che vedo, sono esperienze che entrano dentro di me e mi cambiano pezzo per pezzo, senza quasi accorgermene. Cambia il mio modo di vedere le cose, il modo in cui mi approccio ai problemi che la vita mette davanti, imparando a dare nuovi significati e importanza alla realtà in cui vivo.
Ogni volta che cammino per quelle vie mi sento scalza, a piedi nudi su una terra che canta, balla e piange. Scalza, come quei bambini che rincorrono una palla fatta di stracci fino al calar del sole, o coloro che sulle spalle non hanno uno zaino da scuola, ma fratelli o sorelle minori avvolti nelle tipiche e colorate stoffe africane. Scalzo come è il mio cuore ogni volta che vede una famiglia che riesce ad avere solo un pasto al giorno.
Essere scalza per me significa anche immergermi in questa parte del mondo, entrare in punta di piedi nelle storie e nei fatti, camminare con il passo dell’altro e vivere la condivisione ogni giorno, in casa famiglia e nel progetto. È la ricchezza di questa condivisione che pur mettendomi davanti a delle difficoltà, mi ha insegnato tanto e lo sta facendo ancora.
Ricordo quando Pinot, un educatore che mi accompagnava a fare le “home visit”, un giorno mi ha detto che quando si cammina bisogna anche perdersi, perchè solo in questo modo si trovano nuove strade e ci si mette in ascolto. In Zambia ho imparato così anche la bellezza di perdermi, per scoprire in me capacità nascoste e una forza interiore che non pensavo di avere, incontrando lungo il mio cammino piccoli e grandi saggi che mi hanno insegnato a camminare a piedi scalzi.
Povertà, minori e ragazzi di strada nelle baraccopoli di Ndola
Centro industriale e commerciale della regione del Copperbelt, nonché capitale “commerciale” dello Zambia, Ndola è la terza città più grande e la seconda città coloniale più vecchia del Paese. Sono 148.720 i bambini orfani e vulnerabili nel Copperbelt, dato che permette di stimare una presenza di circa 72.000 orfani/minori vulnerabili nella sola città di Ndola, dove sono presenti 3 compound (baraccopoli) altamente popolosi: Nkwazi, Chipulukusu, Kawama. I primi due sono tra i più poveri e grandi compound dei sobborghi di Ndola, con più di 40.000 residenti ciascuno, che si sono sviluppati senza alcun piano regolatore, in cui i servizi sanitari di base e acqua potabile sono pressoché inadeguati, l’acqua è raccolta dai pozzi, spesso troppo poco profondi per avere un’acqua decente, impensabile averla potabile. Nelle strade asfaltate del centro urbano è purtroppo abbastanza facile vedere bambini con bottigliette di plastica contenente colla, essa funge da droga perché una volta inalata stordisce e permette di non pensare per un po’ alla propria tragica condizione. La vita in strada espone a malattie sessualmente trasmissibili, a comportamenti dannosi per la salute dell’individuo nonché all’abbandono scolastico. Secondo una ricerca della Banca Mondiale, solo il 14,7% dei ragazzi di strada intervistati frequenta la scuola. L’ultimo censimento ufficiale mostra come nel Copperbelt il tasso di Mortalità Infantile (per bambini al di sotto di 1 anno), stimato nel solo 2016, sia di 60.4/1000 bambini. Un dato che fa paura se paragonato, ad esempio con l’Italia, in cui esso si aggira sui 3.5 bambini che muoiono sotto l’anno di età ogni 1000 nati. Anche la malnutrizione è ancora un problema importante nel Copperbelt: i dati raccolti in loco rilevano che circa il 30% dei bambini sotto i 5 anni è malnutrito cronico, mentre il 5% soffre di malnutrizione acuta. In assenza di dati precisi l’ass. Comunità Papa Giovanni XXIII stima intorno ai 15000 i bambini con un qualche stato di malnutrizione nel Copperbelt e circa 4000 a Ndola.
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