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Caschi Bianchi Indonesia

Non sono partita per salvare il mondo

Ritrovo qui la voglia di vivere la mia vita a pieno“: le motivazioni ed il cammino di Silvia, che dalla staticità che stava vivendo in Italia ha deciso di seguire il richiamo verso “una terra così lontana“. Silvia ci racconta il progetto che Caritas Italiana porta avanti a Gunung Sitoli, città nell’isola di Nias in Indonesia, che si sviluppa in una comunità per minori, orfani e persone diversamente abili

Scritto da Silvia Papucci, Casco Bianco Caritas Italiana a Gunung Sitoli

Ciao a tutti,
sono Silvia e vi scrivo da Nias, isola dell’Indonesia sconosciuta ai più. Cosa ci faccio qua? Ho fatto la scelta di fare un anno di servizio civile all’estero con Caritas Italiana. Questa decisione è maturata dal desiderio di mettermi in gioco totalmente per scoprire meglio me stessa dedicandomi agli altri. Dalla voglia di spendere un anno della mia vita a conoscere un altro paese, così diverso dall’Italia e per me completamente nuovo.

Tra i tanti progetti possibili ho scelto di partire proprio con Caritas Italiana perché credo sia una realtà importante nel panorama italiano ed internazionale e condivido i principi su cui fonda il proprio operato, in primo luogo quello della Carità verso gli altri e specialmente verso chi ne ha più bisogno.

Carità, parola tanto piena di significato e splendore ma allo stesso tempo spesso da noi dimenticata.
Carità, quale gesto di amore incondizionato e gratuito verso gli altri e verso il mondo.
Carità, che per me significa apertura verso gli altri, essere capaci di mettersi in discussione ed ascoltare veramente chi ci sta davanti, i loro bisogni, il loro punto di vista, decidendo di camminare insieme per realizzare un futuro più giusto, solidale e di pace per tutti.
Carità, intesa come creazione di opportunità affinché ogni essere umano possa crescere e vivere in piena dignità e con le stesse possibilità delle persone che nascono nella parte ricca del mondo.

Ciò che trovo più frustrante e doloroso del vivere qui, a Gunung Sitoli, è trovarmi ogni giorno a confronto con situazioni problematiche che, in Italia, sarebbero facilmente affrontabili ma che qui purtroppo per mancanza di risorse sono insormontabili. Incontrare persone che qui non possono migliorare la propria condizione ma che probabilmente in Italia avrebbero più chance. Penso alle ragazze sorde che vivono in Alma così in gamba ma qui impossibilitate a studiare, a lavorare, a costruirsi un futuro indipendente e soddisfacente. Penso ai bambini che incontro nei villaggi che difficilmente avranno l’opportunità di studiare oltre le scuole elementari, che probabilmente in tutta la loro vita non usciranno mai da Nias e non per scelta personale ma per mancanza di mezzi. Tutto ciò mi riempie il cuore di rabbia, ma una rabbia che non sfocia nell’odio ma bensì in una maggiore volontà da parte mia di impegnarmi per combattere queste ingiustizie.

Per questo mi rispecchio profondamente nella prospettiva adottata da Caritas Italiana di lavorare con le diocesi territoriali perché siano loro stesse motore del proprio cambiamento in un’ottica di miglioramento che parte dal basso, dalle popolazioni che così imparano a camminare con le proprie gambe. Caritas promuove, attraverso microprogetti di sviluppo, l’autopromozione locale, permettendo così ai paesi più poveri e in difficoltà di procedere autonomamente verso lo sviluppo e non di restare dipendenti dai paesi più potenti. L’auto-sviluppo è le chiave per uscire da uno stato di povertà e asservimento che impedisce ad una comunità di crescere liberamente.

Tornando alle motivazioni che mi hanno condotta qui, nello specifico a Gunung Sitoli, città sull’isola di Nias, ricade per la molteplicità di esperienze che il progetto proponeva e inevitabilmente per l’attinenza con il mio percorso di studi e lavorativo. Sono educatrice sociale e l’anno scorso ho svolto un anno di servizio civile regionale in un centro diurno di socializzazione per ragazzi diversamente abili.

Il progetto in cui lavoro ora prevede di alloggiare in una comunità per minori, orfani e diversamente abili, gestita da quattro suore della congregazione Alma. Oltre alla vita comunitaria e alle attività previste al centro, mi interesso particolarmente il progetto Community Based Rehabilitation (CBR) che Caritas Sibolga svolge in collaborazione con le suore.

Il CBR è una strategia che si pone come obiettivo specifico riabilitazione, promozione di pari opportunità, riduzione della povertà e inclusione sociale di tutte le persone con disabilità e come fine ultimo lo sviluppo di una rete nella comunità in cui le persone con disabilità, le loro famiglie, le istituzioni sociali, il sistema sanitario e educativo del governo e le istituzioni non governative, siano in grado di lavorare insieme per l’interesse delle persone con disabilità.

A Nias fanno attualmente parte del progetto CBR 135 persone, di cui 35 sono i bambini e i giovani che vivono nella comunità delle suore e le altre vivono nei villaggi. Lo staff di Caritas Sibolga insieme alla suora responsabile del progetto prendono in carico le famiglie con familiari disabili a carico. Promuovendone progetti di livelhood e sostenibilità alimentare, aiutandoli a superare gli ostacoli burocratici che impediscono loro di fruire delle agevolazioni previste dallo stato. Sono previste visite periodiche alle famiglie per monitorare l’andamento delle attività concordate, per svolgere attività di fisioterapia e campagne di sensibilizzazione su una corretta e sana alimentazione allo scopo di prevenire le frequenti situazioni di malnutrizione che si verificano.

Bisogna tenere presente che Nias è una delle zone più povere e arretrate dell’Indonesia. È stata anche toccata dallo Tsunami che ha colpito il sud est asiatico nel 2004 e tre mesi dopo è stata soggetto di un forte terremoto che ha provocato più di mille morti e causato la distruzione dell’80% delle abitazioni. Non sono molti a frequentare le scuole dopo le elementari per la difficoltà di raggiungere le scuole dai villaggi e la problematica scolastica è inoltre incrementata dalla frequente lacunosa preparazione degli insegnati.

Sicuramente respirare queste realtà insegna a ridimensionare i propri bisogni e i propri problemi, a rivalutare le nostre priorità ed obbiettivi di vita.

In Italia sembravano non aprirsi opportunità per me, in un momento di crisi come quello che stiamo passando non c’è molto spazio per i giovani e non sono molte le possibilità di diventare autonome e costruirsi la propria vita adulta. Tutto era statico e così c’è chi sceglie di partire per paesi dell’Europa del nord e chi come me sente un forte richiamo verso una terra così lontana. Eccomi qui a fare un’esperienza altamente formativa a livello personale e professionale e a ricercare la giusta prospettiva dell’esistenza. A ricercare qui, in questo posto sconosciuto, povero, fatto da persone semplici, il senso della vita e perché no quel Dio che avevo perso da molto tempo nei meccanicismi e i vizi indotti dalla vita industrializzata.

Ritrovo qui la voglia di vivere la mia vita a pieno, non sprecandola ma inseguendo progetti che mi rendano una persona realizzata e felice.

Imparo a riassaporare la vita, praticando la pazienza e assaporando la felicità in ogni piccola cosa, nel sorriso di qualcuno inaspettato sincero, nel verde delle piante che qui sembra più verde. In quei piccoli dettagli che si erano persi nella mia vita italiana e che ritorno ad apprezzare.

Sono partita piena di entusiasmo ma anche di insicurezze e dubbi. Non sono partita per cambiare il mondo ma per permettere ad esso di cambiarmi, per tornare in Italia arricchita di una nuova esperienza che l’incontro con l’altro, il diverso, plasmerà di nuove prospettive e valori.
Consapevole che sarà tal volta difficile, lontana dai miei affetti e dalle mie routine, e che vivrò momenti di frustrazione, ma pronta a scardinare le mie certezze per accogliere nuovi punti di vista. Comunque vada sicuramente questa avventura mi lascerà qualcosa, tornerò in Italia donna più matura e sicura di me. Pronta a riprende in mano la mia vita piena di entusiasmo e nuova voglia di ricominciare.

*Riprendiamo l’articolo di Silvia dalla rivista “Solidarietà Caritas” della Caritas diocesana di Firenze (numero 1 del 2017)

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