Essere Casco Bianco sicuramente vuol dire crescere in conoscenza e coscienza rispetto a temi quali la costruzione e la promozione della pace positiva e della nonviolenza così come allo stesso tempo è occasione per approfondire quali significati possa assumere la parola violenza. La violenza, come spesso siamo abituati a pensare, non è assolutamente solo quella visibile, fisica, materiale. Esistono forme di violenze più subdole, più profondamente logoranti come quella strutturale, dove si consolidano sistemi economici, politici, sociali che, in forma direttamente o indirettamente discriminatoria, impediscono l’integrità fisica ed il pieno sviluppo umano e morale della persona. In questa riflessione, leggendo anche i dati sulle spese militari, sorge una domanda provocatoria che va così ad animare la ricerca seguente. Perché sprecare miliardi nel comparto militare piuttosto che investire in settori vitali per lo sviluppo umano come il lavoro, la sanità e l’istruzione?
A quanto pare, purtroppo, in molti paesi la crescita delle spese militari è divenuta una priorità. Nel 2016, infatti, sono stati spesi ben 1.686 miliardi di dollari a livello mondiale per il comparto militare, vale a dire circa 2,2% del prodotto interno lordo globale, praticamente è come se ciascuno di noi lo scorso anno avesse sborsato 227 dollari (208 euro). I dati presentati, nel mese di aprile del 2017, dal SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) fanno scaturire alcune riflessioni e considerazioni molto interessanti, soprattutto in riferimento al nostro paese. Innanzitutto a 15 paesi corrisponde l’81% (1.360 miliardi di dollari) della spesa militare mondiale, al primo posto troviamo sempre gli Stati Uniti con 611 miliardi di dollari ed un 1,7% di spesa in più rispetto al 2015.
215 miliardi di dollari è invece la spesa della Cina, seconda in classifica, con un crescita del 5,4% rispetto al 2015 e del 118% per il periodo compreso tra il 2007 ed il 2016. Il terzo posto è occupato dalla Russia, che ha speso il 5,9% in più rispetto all’anno precedente e per un totale di 69,2 miliardi di dollari. L’Italia si trova all’undicesimo posto ma fa registrare, rispetto al 2015, l’incremento maggiore (+11%) di tutto il vecchio continente. L’Italia ha esborsato nel solo 2016 circa 27,9 miliardi di dollari che corrispondono al 1,5% del suo prodotto interno lordo. I dati dell’istituto svedese tengono conto sia delle spese in armamenti, delle missioni militari all’estero, del costo dei Carabinieri e delle pensioni del personale militare a riposo a carico dell’INPS.
Ponendo l’attenzione sulla situazione dei diversi continenti emerge che l’Europa ha speso 334 miliardi di dollari, 20% della spesa mondiale, con un incremento del 2,8% rispetto al 2015 e del 5,7% per il periodo 2007-2016. Ad incidere in questo computo troviamo in particolare quattro paesi che fanno parte dei 15 maggiori investitori militari: Germania (41,1 miliardi), Regno Unito (48,3 miliardi), Francia (55,7 miliardi) e Italia (27,9 miliardi).
Trend negativo invece per il continente africano che, nonostante una crescita del 1,5% di spesa per i paesi dell’Africa settentrionale, ha sborsato 37,9 miliardi di dollari (-1,3% rispetto al 2015). L’Algeria è il paese africano che ha investito di più per il comparto militare.
In negativo anche il trend del Sud America dove, a fronte di una crescita dell’intero continente americano del 0,8%, si registra una diminuzione del 7,5% rispetto al 2015, determinando una spesa complessiva pari a 58,8 miliardi di dollari. In quest’area il maggior investitore è il Brasile. Questo calo è da ricondurre principalmente al calo delle entrate e i problemi economici associati all’accordo di prezzi petroliferi che hanno costretto molti Paesi esportatori di petrolio a ridurre le spese militari .
Dietro la Cina (215 miliardi) a cui corrisponde quasi la metà delle spese militari dell’area asiatica, troviamo l’India (55,9 miliardi), poi Giappone (46,1 miliardi) e Corea del Sud (36,8 miliardi). In ultimo, anche se il rapporto del SIPRI non è del tutto completo, per l’area mediorientale l’Arabia Saudita è il paese che ha speso di più, 63,7 miliardi di dollari. Questa regione è anche quella dove la spesa militare incide di più rispetto al prodotto interno lordo, circa il 6%, tre volte la media globale del 2,2%. L’Oman è il paese dove il rapporto tra spese militari e PIL corrisponde al 17%, il più alto al mondo.
Tornando al nostro paese, il trend di crescita della spesa militare sembra sia confermato anche per il 2017. L’Osservatorio sulle spese militari italiane “MIL€X”, analizzando i bilanci previsionali del nostro Ministero della Difesa, ha stimato che per il 2017 la spesa militare italiana sarà di 23 miliardi di euro, praticamente in linea con i dati del 2016. In poche parole è stimato che l’Italia spenderà 64 milioni di euro al giorno, 2,7 milioni di euro all’ora, 45 mila euro al minuto.
I dati di SIPRI e MIL€X sono praticamente in linea tra loro, la piccola differenza è principalmente dovuta ai criteri di calcolo. L’osservatorio italiano non tiene in considerazione, a differenza dell’istituto svedese, del costo dei Carabinieri e delle pensioni del personale militare a riposo a carico dell’INPS.
Come emerge dal rapporto MIL€X, sono tre le voci principali stimate che comporranno la spesa militare italiana per il 2017: personale, operatività (esercizio + missioni) e armamenti. La prima voce corrisponde al 60% del totale e nonostante ciò i comandanti si lamentano di non avere sufficienti risorse per la manutenzione e l’addestramento dei reparti. Il problema è che ci sono troppi graduati e poca truppa, si contano infatti 90 mila comandanti contro 81 mila comandati. Per quanto riguarda l’operatività, il preannunciato 25% è stato scalzato dal reale 13% che sarà destinato a sostenere anche le missioni all’estero. Lo stanziamento per le missioni 2017, ammonta a 1,28 miliardi di euro (+7% rispetto al 2016) e prevederà l’impiego di 7.600 uomini, 1.300 mezzi terrestri, 54 mezzi aerei e 13 navali in decine di missioni attive in 22 Paesi. Ultima voce è quella degli armamenti pari al 25% del totale e quantificabile in 5,6 miliardi di euro, oltre 15 milioni di euro al giorno.
I dati di SIPRI e MIL€X si distanziano invece fortemente dalle cifre calcolate dalla NATO e dal Ministero della Difesa italiano che dichiarano una spesa militare pari a 20 miliardi. In questa marea di numeri, alla luce anche dell’ultimo incontro tra Trump e Gentiloni, un dato interessante è quello che si riferisce al rapporto tra spese militari e PIL. Trump, in merito all’aumento dei contributi italiani al bilancio della NATO, aveva così dichiarato ai giornalisti: “Con il primo ministro italiano abbiamo scherzato: Forza, dovete pagare, dovete pagare. Gli ho detto. E pagherà”.
Trump si riferisce al documento sottoscritto (senza alcun vincolo effettivo in quanto non ancora passato all’esame del nostro Parlamento) da tutti i paesi della NATO in cui si impegnano a portare il budget della difesa al 2% del Pil. Secondo l’istituto svedese, il rapporto suddetto per l’Italia risulta nel 2016 superiore all’1,5%, in linea con l’1,4% calcolato da MIL€X, mentre per la NATO e la Difesa è all’1,1%-1,2%. Rispetto alle dichiarazioni di Trump, la risposta della Ministra della Difesa Pinotti è stata alquanto remissiva: “Ad oggi abbiamo fermato il declino del bilancio della Difesa, negli anni passati ci sono stati numerosi tagli. Con gradualità e compatibilmente con il fatto che il Paese ha bisogno di numerose cose, sapremo rispondere agli impegni sottoscritti”. Il proseguimento di una politica di “investimento” nel settore militare per “rilanciare” l’economia sembra essere anche nelle idee dell’ex primo Ministro Matteo Renzi che in una recente intervista ha così dichiarato: “Per il futuro dobbiamo usare le spese militari, come fanno altri Paesi, per creare filiere interne. Questo in passato non si è fatto. L’Italia deve fare delle spese nel settore militare che non siano inutili: creare ingegneria, una filiera nell’aviospazio o in strutture dell’innovazione”.
Dunque nelle leggere questi dati riemergono domande antiche: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali? Perché non iniziare a credere davvero in una difesa pacifica e non violenta?
Queste domande quasi sicuramente non troveranno risposta ma allo stesso tempo non possiamo e dobbiamo perdere la coscienza che la pace, la libertà e la democrazia non si costruiscono aumentando le spese militari e armandosi fino ai denti. Così ammoniva il presidente statunitense Dwight D. Eisenhower nel suo discorso di addio alla nazione: “Dobbiamo vigilare contro l’acquisizione di un’ingiustificata influenza da parte del complesso militare-industriale, sia palese che occulta. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa combinazione di poteri metta in pericolo le nostre libertà e processi democratici. Soltanto un popolo di cittadini allerta e consapevole può trovare un adeguato compromesso tra l’enorme macchina industriale e militare di difesa e i nostri metodi e fini pacifici, in modo che sicurezza e libertà possano prosperare assieme”.
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