Arrivati da un mese in questa terra al di là dell’Adriatico, stiamo lentamente conoscendo sapori, odori, lingua e tradizioni. Mi trovo a Shkoder (Scutari), nel nord dell’Albania, antico centro culturale con più di duemila anni di storia. Il progetto che seguo riguarda l’educazione dei minori accolti in casa famiglia e il sostegno a famiglie disagiate delle periferie. Inoltre seguiamo il Progetto “colori e stoffe”, micro imprenditorialità equa per le donne povere che con il telaio a mano tessono stoffe uniche. Molti dicono che qui al nord si vede la vera Albania. A primo impatto è difficile da comprendere, molto legata a tradizioni del passato, a valori quali l’onore, la rispettabilità esterna,i ruoli di genere; in fondo però proprio per questo è affascinante. Il mix di Occidente ed Oriente si respira subito. I tappeti persiani, il caffè turco che ti offrono le famiglie, il canto del muezzin si mescolano ai negozi alla moda occidentale, ai palazzi moderni e all’amore per l’Europa.
Tra i valori positivi di questo popolo vi è sicuramente una grande profondità d’animo e fede, non importa quale sia. Per me che vengo da un nord Italia spesso diffidente con gli stranieri, è una sorpresa vedere qui la chiesa ortodossa, le chiese cattoliche e le moschee vicine in tutta normalità. La stessa convivenza di religioni che avevo vissuto ad Astrakhan’, nel sud della Russia.
Noi Caschi Bianchi abbiamo potuto respirare questa fede degli albanesi il 5 novembre, durante la cerimonia di beatificazione dei 38 martiri albanesi uccisi tra il 1945 e il 1974 durante il regime comunista di Enver Hoxha.
A Scutari c’è anche un memoriale della persecuzione contro i cattolici, insieme a ortodossi e islamici, durante il regime, arrivato – unico caso in Europa – a proclamare l’ateismo di Stato nel 1967. È la palazzina della Sigurimi, la spietata polizia segreta. Ci sono ancora gli strumenti di tortura e sui muri i segni incisi dai prigionieri dalle fedi diverse. Lì c’era la cella di Maria Tuci, unica donna tra i martiri albanesi. Non c’era né luce, né acqua; quando pioveva, l’acqua raggiungeva i materassi. Tra i 38 nomi, oltre al Vescovo di Durazzo Vincenc Prennushi, molto amato, troviamo don Anton Zogaj, fucilato nei pressi di Durazzo, monsignor Jul Bonati, rinchiuso in un manicomio negli ultimi anni di prigione. Ci sono anche i nomi di alcuni laici: Fran Mirakaj, Qerim Sadiku, il seminarista Mark Ccuni.
La città tutta orgogliosa si preparava da molto tempo all’evento: le gigantografie dei martiri erano state appese per le strade mentre una croce con patchwork dei loro volti era stata collocata in una rotatoria. C’erano circa 10.000 persone. La folla era composta da vecchine con il tipico fazzoletto bianco in testa, persone disabili, giovani uomini, famiglie con bambini bellissimi, ragazzine. Tutti tenevano moltissimo a questo riconoscimento, anche in funzione del forte patriottismo albanese. Forse anche per celebrare ancora la libertà ritrovata per tutti, la vittoria finale di chi ha osato alzare la testa contro la dittatura. Come ha detto l’Arcivescovo Angelo Massafra durante la messa, sembra che il male vinca nella Storia, ma non è così. La loro morte è stata una vittoria con apparenza di sconfitta. A ben guardare sono questi testimoni di lotta nonviolenta per la pace e dignità che segnano il passo e verranno ricordati sempre per il loro coraggio.
Quel giorno insieme ai martiri si celebravano tutti i comuni cittadini albanesi che durante quegli anni bui hanno sofferto molto, nascondendo crocefissi o Corani sotto il letto, celebrando la Messa imparata a memoria con uva spremuta e ostie trafficate chissà come. Io guardando il cielo pensavo al coraggio e alla fede enorme di queste persone, che hanno rifiutato di disconoscere Gesù davanti ad un fucile e una morte certa. Hanno lottato per la dignità umana, dicendo no a chi voleva togliere loro anche la più intima delle libertà: la fede in un Dio. Ciò in cui credevano era più forte di ogni paura.
E’ stato emozionante partecipare con il popolo albanese a questo momento, erano presenti tutte le autorità ecclesiastiche come il cardinale Angelo Bagnasco insieme alle autorità politiche nazionali e locali. Durante la cerimonia è stato ricordato che l’Albania ha dato da poco una santa al mondo, Madre Teresa di Calcutta ed in questi giorni il vescovo di Shkoder Ernest Simoni, torturato durante il regime, è stato nominato cardinale dal Papa: credo dia un segnale di grande speranza avere in questo Paese tali testimoni di luce.
Un passo del Diario di Etty Hillesum, ebrea olandese vittima della Shoah, ben sintetizza ciò che i martiri hanno difeso: “L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: (…) tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi.”
Il comunismo in Albania
Dal 1946 al 1990 l’Albania fu uno Stato comunista estremamente isolazionista, stalinista e anti-revisionista, che dedicò poche energie alla cooperazione politica anche con gli altri stati comunisti del Patto di Varsavia dominato dall’Unione Sovietica. Il nuovo governo fu scelto tramite le elezioni democratiche del 1945 e prese il potere nei primi mesi del 1946 (era di fatto al potere già dal 1944). Enver Hoxha, un comunista che era stato attivo nella guerra antifascista, divenne Capo dello Stato. Hoxha concentrò la politica dello Stato intorno al Partito Comunista, unico partito legale. Nel 1967 dichiarò l’ateismo di Stato e da quel momento chiese, moschee, simboli religiosi furono distrutti o chiusi. Le accuse con le quali i cattolici venivano arrestati, torturati e a volte sottoposti a processi dall’esito già scritto erano principalmente due: quella di essere spie della Santa Sede e, specie nel caso di quanti avevano avuto contatti con l’Europa, di essere collaborazionisti del nazismo o del fascismo. C’era anche un ulteriore motivo: dato che molti sacerdoti erano anche letterati, eliminandoli fisicamente s’intendeva dare anche un duro colpo all’identità nazionale. La dolorosa situazione dei cattolici albanesi ebbe fine quando, il 4 novembre 1990, la celebrazione di una Messa al cimitero cattolico di Scutari segnò la ripresa della pubblica professione di fede.
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