Ad Atene soffia un vento forte, scuote gli alberi e rinnova l’aria, spazzando via la calura estiva. Da giorni è implacabile: irrequieto corre tra i palazzi della città, dirompente mi insegue e mi travolge nei miei luoghi, nei corridoi e nelle strade che percorro, come a volermi sussurrare qualcosa, forse a convincermi, come nel film Chocolat, che è arrivato il momento di andare e di spostarsi di nuovo.
Della Grecia, mi mancherà sentire nella mia mano quella piccola dei bambini di Neos Kosmos che, rapida, mi trascina verso il parco. Mi mancherà sentirli tremare di paura e di gioia nell’acqua quando li portiamo al mare. Mi mancherà la mano dei bambini dei campi profughi, che ti accolgono come fosse davvero casa loro e ti guidano tra le tende insegnandoti a non avere paura del dolore.
Mi mancheranno i volti, i nomi e le storie di persone venute da lontano e da vicino, un’umanità in cammino che mi apre gli occhi sulle voragini di questo mondo e mi insegna a vedere l’essenziale.
Mi mancherà ascoltare i lunghi discorsi tra greci e arabi pronunciati ognuno nelle rispettive lingue, stupirmi nel constatare che l’unica vera lingua comune è quella dell’anima e che l’accoglienza è un gesto che nasce così naturale a chi non ha niente.
Mi mancherà sperimentare l’integrazione nel microcosmo di Neos Kosmos, che significa nuova gente, nuovo mondo o nuovo ordine in greco antico, in un quartiere che è nato a sua volta dall’emigrazione dei greci turchi cacciati dalle coste anatoliche negli anni ’20. Ricercare la convivenza con l’altro attraverso un processo che è fatto di piccoli e lenti aggiustamenti ma anche di scoperte, di incontro e di rispetto reciproci. Mi mancherà scoprire i talenti nelle persone che mi circondano, adulti e bambini, dare valore ad ognuno ed anche a me stessa.
Mi mancheranno gli sguardi carichi di significato che non hanno bisogno di parole, mi mancherà condividere il pianto e la gioia con quanti ho incontrato sul mio cammino, che fossero italiani, greci, siriani, iracheni, iraniani ed ancora musulmani, cristiani cattolici od ortodossi. Mi mancherà la rete di amore incondizionato che ognuno di noi ha saputo tessere verso l’altro, al di là di tutte le nostre debolezze.
Mi mancherà la nostra koinè, fatta di parole arabe che si mischiano all’inglese, declinazioni greche che si confondono con quelle tedesche e un substrato di italiano supportato da un gesticolare vivace.
Mi mancherà questa terra, così fragile e così forte, e questo popolo strano, che forse ha capito tutto o non ha capito niente ma che comunque va avanti inseguendo la felicità, che alla fine è la cosa migliore e noialtri ce lo siamo dimenticato.
Mi mancherà l’antico che si scontra con il moderno, l’occidente che si mescola con l’oriente, la velata sintesi balcanica. Le botteghe degli artigiani, i sarti, i calzolai, i forni ad ogni angolo e i negozi di spezie, di caramelle e frutta secca. La malinconia del rebetiko, resuscitato dalla Grecia della crisi ed il ritmo pizzicato del sirtaki suonato ad ogni angolo per i turisti. Atene così decadente, con i suoi palazzi sventrati e abbandonati, l’oscurità delle strade che soccombono alla droga, i quartieri dimenticati di chi vive ai margini, tra povertà, prostituzione e pochi euro per perdersi nel fumo devastante dei liquidi di batterie.
E allo stesso tempo Atene così dignitosa, lo splendore del centro e dell’Acropoli che svetta sul manto bianco di questa città tesa verso il mare, la vita che non va a dormire neanche se il giorno dopo è lavorativo.
La Grecia delle persone comuni, che resiste e si reinventa, che non si arrende e sogna, che si riscopre piena di talenti che aveva dimenticato. La Grecia scombussolata dalla crisi ma che da questa riparte, perché “krìsis” significa “scelta” e molti scelgono di rinascere su basi nuove, di solidarietà, di sostenibilità e uguaglianza.
E in fondo il senso di tutto questo è che forse la Grecia ci sta di nuovo illuminando la strada, perché la krìsis riguarda tutti e forse bisogna ripartire proprio da qui, dove tutto è cominciato, per ricostruire un Neos Kosmos, un mondo nuovo.
Infine, mi mancherà congedarmi dalle persone sentendomi augurare “Kalò dromo”, buon cammino.
Mentre mi preparo ad andare via, dalla strada arriva una musica antica e familiare. Le note si susseguono dolci e semplici, con un ritmo solo accennato, lieve richiamo verso un mondo che già conosco. È il sax di un signore anziano, che vaga lento rompendo il silenzio del quartiere: la risposta soffia nel vento e in esso si perdono allusive le note di “O sole mio”.
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