Alla fine del mio anno di Servizio Civile in Georgia come Casco Bianco mi hanno chiesto di rispondere a questa “semplice” domanda: cosa lascio qui? Bè, bisognerebbe chiederlo alle persone con cui ho condiviso questo tratto di strada, ai bambini della baraccopoli di Batumi, per esempio. Così ho immaginato che fosse proprio uno di loro a parlare, raccontando una parte del mio servizio dal suo punto di vista bambino, per scoprire cosa lascio a lui e ai suoi amici. Quello che, in fondo, spero di aver lasciato…
Mi chiamo Ucha, ho 9 anni e frequento la quarta classe. Vivo in Georgia, a Batumi. O meglio, Batumi è la Città. Io abito un po’ fuori, in un posto che si chiama Città del Sogno. Forte, no? Bè, ecco, la nostra città del sogno è una baraccopoli e io e la mia famiglia stiamo in una delle centinaia di baracche che ci sono qui, tutte vicine vicine. Ma questa è un’altra storia.
Qui girano spesso degli stranieri. Non turisti, quelli sicuro non vengono qua, vanno al mare o nei casinò di Batumi. Gli stranieri che vengono qui portano i pannolini per i bambini piccoli delle famiglie più povere. Aiutano la Città del Sogno da anni, ormai.
Gli inglesi. Così li chiamiamo noi. Perché insegnano inglese e scrivono con le lettere dell’inglese che noi studiamo a scuola, che son diverse dalle nostre. Ma adesso ho imparato che non sono inglesi. Sono italiani. Uno di loro da un po’ di mesi insegna inglese in casa di Ghiorghi. L’abbiamo conosciuto bene e ora non ci sbagliamo più. Ah, Ghiorghi è un mio amico, e anche vicino di casa, e l’inglese lo facciamo insieme a casa sua, io, lui, sua sorella maggiore Sopo e Anri, un altro nostro amico.
Il ragazzo che ci insegna inglese si chiama Matteo. Anche Beatrice, Giulia e Nicoletta insegnano inglese, ma in altre famiglie, in altre baracche, con altri bambini. Forse loro sì che sono delle vere maestre. Matteo invece non è mica normale. Con lui giochiamo, cantiamo, ridiamo. Mi piace studiare inglese con lui. E’ divertente. Ma impariamo anche. Un sacco di cose. Chiedetelo alla mamma di Ghio, che in fondo a Matteo continua ad aprirgli la porta di casa.
L’inglese lo facevamo il lunedì, il mercoledì e il venerdì. Il sabato invece gli inglesi vengono tutti insieme a giocare e ballare con tutti i bambini nel grande prato verde.
Da un po’, il sabato Matteo aveva iniziato a farci fare qualcosa di nuovo. Ve l’ho già detto che non è tutto normale? A lui piace fare girare fra le mani le palline al volo, o altri oggetti colorati più lunghi, oppure ancora dei piccoli bastoni di legno con delle frangette di gomma alle estremità. Si chiama giocoleria. E’ anche abbastanza bravo. Anche a fare le magie. Ecco, da un po’ aveva iniziato e insegnare a noi bambini un po’ più grandi la giocoleria. Portava le palline e i flowerstick e ci insegnava a usarli come fanno i giocolieri al circo o gli artisti di strada. Aspettavamo il sabato. Dopo poche volte però hanno smesso di fare così. Non so bene perché. Ci è dispiaciuto. Ma alla fine ci è andata bene. Almeno a noi del piccolo gruppo di inglese a casa di Ghio.
Un giorno Matteo è venuto come sempre a casa di Ghio e nel suo georgiano sbilenco fatto di parole, gesti e sorrisi l’ha detto a noi e l’ha chiesto alla mamma di Ghio. Ha detto che visto che il sabato non si faceva più e poi eravamo troppi noi bambini tutti insieme, la giocoleria voleva farla con noi qui in casa, al posto dell’inglese del mercoledì. La mamma ha detto di sì e io, Ghio e Anri eravamo felicissimi. L’inglese c’è anche sui libri, la giocoleria forse pure ma io non ce l’ho mai vista.
Così adesso una volta alla settimana facciamo circo a casa. Matteo porta un sacco di cose diverse e ci insegna come si fa. Alcune le avevo già viste, altre no, ma nessuna l’avevo mai provata.
Ora le ho provate tutte e sono una più bella dell’altra. Sono difficili, eh, ma è meglio così. E poi se ascolti bene come iniziare e provi e riprovi e ti impegni, cominci a vedere che ce la puoi fare anche tu. E noi in quell’oretta in cui c’è Matteo ci impegniamo davvero. Lui dice che siamo bravi. Non riesco a fare ancora niente bene bene, però i miglioramenti si vedono, ed è una grande soddisfazione. Così adesso sto imparando anch’io a far girare tre palline al volo, a far saltare il flowerstick di qua e di là con due bacchetti di legno, a far girare in alto il piatto cinese, a stare in equilibrio sul rola bola, addirittura a fare il mimo con in mano un palloncino. Ah, quello nella foto col palloncino sono io!
E’ un peccato che Matteo fra poco torni in Italia. Ma il nostro circo non finisce qui! Perché lui ci ha insegnato come allenarci e possiamo anche continuare da soli a imparare. Possiamo allenarci insieme, aiutarci dove uno è più bravo e l’altro meno.
E poi Matteo ci ha insegnato come costruire le palline da giocoleria e i flowerstick. Un nostro amico qui in baraccopoli ci ha dato una vecchia camera d’aria di una bicicletta che ci serviva, altre le abbiam trovate noi, dei bastoni di legno li abbiamo recuperati in giro. E un po’ alla volta ci siam costruiti i nostri flowerstick. Non sono perfetti come quelli di Matteo, ma non sono niente male! E funzionano. Li ha provati anche lui ed era stupito di come fossimo riusciti a costruirli tutti da soli.
Poi ci sono gli altri bambini, a cui pure piaceva la giocoleria che Matteo aveva iniziato a insegnarci il sabato nel grande prato verde, ma che poi non hanno più potuto continuare perché non sono nel nostro piccolo gruppo dell’inglese a casa di Ghio. A volte qualcuno di loro ci ha visto giocolare il mercoledì e si è un po’ unito a noi. Non hanno gli attrezzi da giocoleria, ma ora possiamo insegnargli noi come si fanno.
Sarebbe bello fare un piccolo gruppo di circo di noi bambini, trovarci e allenarci insieme. Chissà, magari fra un po’ diventeremo davvero bravi a giocolare.
Noi, i bambini della baraccopoli.
Perché il nostro circo non finisce qua.
Parola di Ucha.
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