“Nunca de rodillas, siempre de pié”. Tradotto letteralmente significa “mai in ginocchio, sempre in piedi”.
Già questo motto può farci capire lo spirito guerriero, mai domo, di “El Alto”, una città giovane, sia per l’età della sua popolazione che per la sua data di fondazione ufficiale. Ha infatti compiuto questo 6 di marzo trentuno anni. E’ strano, almeno personalmente, pensare che una città nata così poco tempo fa sia già la seconda città in Bolivia per numero di abitanti, oltre 900 mila, e che abbia vissuto questo breve periodo così intensamente tanto da diventare uno dei simboli del riscatto boliviano. In realtà il 6 marzo del 1985 è una data ufficiale per la burocrazia boliviana ma i primi insediamenti sono sorti già nel 1912.
“El Alto” si trova nell’altiplano, dove fischia forte il vento andino, che riesce ad entrare gelido anche sotto i giubbotti più spessi. L’escursione termica è allucinante. Si può passare dagli oltre 20 gradi di un giorno soleggiato ai 2-3 durante la notte. L’altitudine influenza notevolmente il clima. La città si trova a più di 4000 metri sopra il livello del mare ed è sorta quasi come una propagine di La Paz, che invece si trova nella vallata sottostante.
Le due città sono quindi attaccate ed hanno come legame costante due infrastrutture ormai indispensabili per entrambe: il teleferico e “l’ autopista”. Il primo rappresenta uno dei vanti delle due città, infatti sono le uniche al mondo ad utilizzare questo mezzo come trasporto pubblico. Il teleferico ha la sua prima stazione nella parte sud della città, quella più benestante e moderna, Iparwi, ed arriva fino a “El Alto” a “Satelite”, un quartiere chiamato così per il numero spropositato di antenne e trasmettitori che dominano la vallata.
La seconda invece è una sorta di autostrada che collega il centro di La Paz con la “Ceja” il quartiere più vivo e allo stesso tempo pericoloso di “El Alto”. Vi sono solo due corsie per senso di marcia ufficialmente ma in realtà, seguendo gli standard boliviani, si convertono in quattro.
El Alto ha avuto il suo massimo momento di gloria, ma allo stesso tempo un tremendo lutto, quando nell’ottobre 2003 grazie al suo sciopero e alla sue manifestazioni ha iniziato una sorta di rivoluzione contro il Presidente/dittatore Sanchez de Lozada, che aveva vinto le elezioni nel 2002 con solo il 22,5 % dei voti. “Gony”, questo era il soprannome del Presidente, voleva infatti arrivare a patti con il Cile, storico nemico boliviano, avendo sottratto al paese andino il suo sbocco al mare, per esportare le risorse naturali del paese. Soprattutto il gas era al centro della questione. La Bolivia avrebbe avuto un profitto pari solo al 18% sul gas esportato, che ai tempi corrispondeva a circa 180 milioni di $, mentre attualmente, con la nazionalizzazione degli idrocarburi il paese guadagna oltre 4.000 milioni di $. La città quindi si ribellò e pagò a caro prezzo questa sua lotta. Durante l’ottobre nero morirono infatti molte persone colpite dai proiettili dei militari e della forze dell’ordine. I frutti della ribellione non tardarono però ad arrivare ed il 17 ottobre “Gony” fuggì dal paese verso gli Usa, non prima di aver prelevato una consistente quantità di dollari.
Parlando invece da un punto di vista economico, al principio del 2014 nella città vi erano oltre 12 mila imprese e per questo la si può considerare uno dei centri produttivi più importanti in Bolivia. La sua posizione la aiuta, avendo facile accesso a La Paz, all’altiplano e ad altri dipartimenti, attraverso vie aeree e terrestri.
Le maggiori problematiche che caratterizzano “El Alto” sono il contrabbando, il mercato nero e la falsificazione. La città resta in costante sviluppo, soprattutto dal punto di vista industriale, ma un gran numero di “altenos” continua a rimanere disoccupata, ufficialmente, e vi sono grandi mancanze di servizi. L’espansione della città però sembra essere abbastanza ordinata seguendo gli standard romani di “cardo” e “decumano”. Si crea così una sorta di rete, un tracciato in cui è facile perdersi anche perché la maggior parte delle case sono uguali, in mattoni rossi e costruite su un piano.
Vi sono poi dei punti di riferimento architettonici che aiutano ad orientarsi e che sono caratteristici della città. Mi riferisco ai “cholets”, edifici che hanno funzione abitativa o commerciale, creati dall’architetto Freddy Mamani per la nuova borghesia aymara. Il suo stile è ormai conosciuto in tutto il mondo, con il nome di “cohetillo” o come preferisce chiamarlo il suo creatore: architettura andina postmoderna. Sono dei palazzi con grandi vetrate e colori sgargianti che creano forme geometriche varie. Mi è alquanto difficile descriverli, personalmente però sono un po’ un pugno in un occhio.
La città inoltre, un po’ come La Paz, è vittima del traffico, soprattutto nella Avenida 6 de marzo che va dalla “Ceja” in direzione sud, verso Oruro e Potosì. Migliaia di minibus, micro, autobus e taxi invadono le 4 corsie di questa strada, toccando il clacson in continuazione, facendo salire i passeggeri anche in mezzo ad un semaforo e litigando costantemente con la polizia municipale, che deve sottomettersi alle decisioni degli autisti. Sembra che questo sia uno dei lavori più in voga tra gli “altenos”, oltre a quello di meccanico e di cuoco.
Io e Alice ci rechiamo a El Alto almeno 3-4 volte alla settimana per andare al progetto “Comedor” dove cerchiamo di garantire ad un centinaio di bambini almeno il 60% del fabbisogno calorico giornaliero, li aiutiamo nei compiti e facciamo diverse attività. Molti di questi bambini vivono solo con le madri, che in alcuni casi hanno solo lavori saltuari.
El Alto è un mondo unico, tanto confuso e caotico quanto in crescita. Sarei curioso di tornare tra qualche anno per vedere come è continuata l’espansione, se i mattoni rossi saranno riusciti a espandersi ulteriormente nell’inospitale altipiano, nonostante il vento e il freddo.
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