L’intuizione della nipotina di Andrea, nella sua semplicità ed ingenuità disarmanti, dà voce al pensiero – più o meno consapevole – di molti, in questi tempi. Ad Andrea scatta un ragionamento sulla sua scelta di Casco Bianco, e si interroga nella sua lettera sull’influenza che può avere una piccola presa di coscienza da parte di ogni individuo.
26/11/2015. “Poco tempo fa sono tornato a casa in Italia e ho passato un po’ di tempo anche con la mia famiglia. Proprio mentre ero là c’è stato il terribile attacco terroristico a Parigi.
Mi ricordo che la mattina seguente mi sono svegliato e mentre andavo in cucina per farmi un caffè, mi hanno detto: “Hanno fatto un attentato a Parigi, sono morte 120 persone”.
Non ho risposto, o meglio, ho detto qualcosa come: “No…”. Sono salito al piano superiore ed in sala ho trovato la tv accesa sul canale delle notizie 24 ore su 24. Mi sono seduto a tavola e lì sono rimasto ad ascoltare in silenzio tutto quel male che raccontavano inviati, giornalisti, presidenti.
Lì per lì mi ricordo che mi ha colpito la rassegna stampa di sabato: di quanto mi spaventassero i titoli dei giornali, come usavano tutte quelle parole: terrore, nemici, islamici, guerra, guerra, guerra.
Il giorno dopo a Cesena, la cittadina dove abito, c’è stato il ritrovo di solidarietà in centro e nei giorni a seguire tutti abbiamo seguito le drammatiche conseguenze della strage: il contrattacco francese in Siria ed Iraq, i discorsi di tanti politici destinati a stravolgere gli equilibri mondiali.
Qualche giorno dopo chiacchieravo con mia nipote, che ad un certo punto mi ha detto: “Era meglio se facevi il militare invece del casco bianco!”. Lì per lì mi ha fatto incavolare la sua affermazione, per cui ho risposto un po’ arrabbiato: “Perché?”. “Perché tra un po’ ce ne sarà bisogno, se arriverà la guerra”.
Mi ha spiazzato. Mi ha colto impreparato, non ero pronto ad un attacco del genere.
Parlare con lei mi ha fatto pensare a quello che ci hanno detto fino allo sfinimento in ogni occasione, in tutte le formazioni del servizio civile che abbiamo fatto: a tutta questa nonviolenza, a quanto sia importante costruire relazioni vere, a ragionare sui pregiudizi sulle culture diverse. In effetti ancora non avevo pensato a quale collegamento ci potesse essere tra la mia giornata passata con i bimbi disabili o in strada con i barboni e queste grandi tragedie che ho sempre visto (e tuttora vedo) troppo grandi per capirle a fondo o anche solo per farci un ragionamento.
Quale collegamento tra i nostri discorsi di nonviolenza, di conflitti, di pace e la vera violenza, la vera guerra e la vera pace?
Ecco, venendo qua in Romania, ho notato tante problematiche nella cultura rumena, come il fatto che si punti tanto ad apparire e quindi a nascondere ciò che “non funziona”. Dal mio punto di vista “italiano” ho notato chiaramente questo aspetto in tanti ambienti, anche dove vivo e dove faccio servizio. Qui sto scoprendo quanto è importante stare con i ragazzi disabili, andare in strada a parlare con i barboni o ancora aiutare le famiglie rom, che non hanno considerazione della donna e tante volte neanche dei propri figli. Ho anche imparato a dare importanza alle piccole cose che capitano, dal parlare con il vecchietto infastidito dal nostro chiacchierare con il barbone, al provare a spiegare alla commessa dell’alimentari vicino casa cosa vuol dire “volontariato”, parola assolutamente sconosciuta a tanti rumeni.
In un primo momento ho pensato che se queste piccole “chiacchiere” le coltivo con costanza, alle persone che incontro rimarrà traccia di un confronto con l’altro, che potranno trasmettere a loro volta. Il pensiero successivo è stato: “cosa potrà mai importare a lei/lui se qualche persona qua starà meglio, o la penserà in modo diverso, migliore”. E allora il vero collegamento con tutta la teoria che abbiamo fatto, il vero servizio che più si avvicina alla “difesa della patria”, patria intesa come noi persone che viviamo, è quello di imparare io per primo cosa vuol dire agire con nonviolenza, senza pregiudizi, cercare rapporti veri, gestire le mie difficoltà, i miei limiti, le mie paure e cercare la pace.
Questo si che cambia, questo posso portarlo dove voglio e posso trasmetterlo poi a chi avrò vicino: a mia nipote, alla mia famiglia, ai miei amici e alla mia comunità. Non è la lotta che vince la lotta, la paura genera paura. Sono la ragione e la costruzione della pace a fare la differenza.
È difficile farle cambiare idea… io ci ho provato e mi sono sentito molto orgoglioso di fare il Casco Bianco!”
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