Un sorriso smagliante e così bianco che si scaglia sul nero dei visi, occhi così sempre svegli, attenti e curiosi che ti scrutano ogni secondo, questa la mia casa da qualche mese, mentre sto prendendo parte come Casco Bianco alle attività del Cicetekelo Youth Project (CYP), un progetto per ragazzi di strada fondato circa 20 anni fa da Stefano Maradini e gestito dall’Associazione Papa Giovanni XXIII a Ndola, in Zambia.
Nonostante siano passati alcuni mesi, tuttora mi chiedo spesso quanto questi stessi sguardi, appartenenti ai ragazzi accolti dal progetto, mi abbiano accettato veramente quale parte di una grande e strana famiglia…sguardi che si portano dietro un percorso fatto di fatiche, sofferenze ma anche tanta spensieratezza.
Questa la noto mentre, osservandoli, mi accorgo di quanto siano capaci di creare giochi con poco, di ridere e scherzare prendendo il mondo con infinita ed unica leggerezza…poi, ad uno sguardo più da vicino e quotidiano, sulla loro pelle mi accorgo anche di profonde cicatrici, ferite di cui mi chiedo l’origine, e nei loro comportamenti mi interfaccio con un’imprevedibilità di fondo, segno di profonde sofferenze interiori.
In quei momenti penso che, quel mondo che li ha accolti, l’abbia fatto con uguale se non eccessiva leggerezza. Si tratta di un mondo che, in più di un’occasione si è dimostrato incapace di farsene carico, a dispetto dei grandi proclami in difesa dei diritti dei bambini, dipinti sui muri di scuole pubbliche e private della città.
D’altronde, qui in Zambia tutto appare abbastanza incerto (il 70% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, anche a causa di malattie come l’HIV/AIDS l’aspettativa di vita si colloca attorno ai 57 anni) e tentare di programmare un futuro spesso non ha alcun senso vista la precarietà delle condizioni di vita. Gli adulti stessi sono i primi a rappresentare una categoria persa, rimasta nei bar di qualche compound a stordirsi di birra e musica altissima dalla mattina alla sera. Sono bar in cui la musica, compagna inseparabile della cultura zambiana, perde il suo solito sapore di festa, si snatura e diventa semplicemente una bolla di evasione per dimenticare lo schifo in cui si è immersi quotidianamente, un non-luogo in cui perdersi e talvolta consumare rapporti occasionali creando ulteriore sofferenza.
Tuttavia, è in questo stesso mondo, che i miracoli quotidiani possono accadere.
Per esempio, può accadere che, grazie alla scuola comunitaria del CYP all’interno del compound di Nkwazi, uno dei tanti quartieri di periferia di Ndola, un centinaio di ragazzi e ragazze possano studiare e recuperare gli anni di studio persi della scuola elementare.
Non importa quanti anni abbiano o da dove vengano, ciò che conta è la determinazione con cui sapranno riprendersi il futuro che gli è stato rubato.
E così capita che alle 8 di mattina, dopo il saluto iniziale, gruppi di ragazzi di 16 e 10 anni si trovino seduti sugli stessi banchi e si concentrino sui loro libri sgualciti, con la musica del bar di fianco che irrompe fin dal primo mattino e con le loro vecchie custodie di vhs come astucci, le matite consumate e i quaderni rivestiti di giornali.
Si tratta di un percorso che, una volta terminato con i risultati necessari, li potrà portare ad indossare con orgoglio un’uniforme e ad accedere ad una scuola governativa, a reinserirsi nella società e nel mondo nonostante una partenza un po’ difficoltosa.
Ciò che conta e fa la differenza tra questi ragazzi, è il desiderio di riscatto che li motiva, e la capacità di capire cosa è giusto e cosa è sbagliato, in un mondo prevalentemente privo di riferimenti. Tra di loro, infatti, c’è chi un minimo riferimento l’ha avuto e chi no. C’è chi ha potuto ricevere le cure adeguate di una famiglia con difficile situazione economica e c’è chi invece vi ha conosciuto la violenza, c’è chi di famiglia non ne ha mai avuta una crescendo senza sapere nulla delle proprie origini e c’è chi è vissuto in strada.
Per tutti questi diversi casi, circa trecento in totale, Cicetekelo Youth Project offre un sostegno specifico a seconda dei bisogni del giovane e della famiglia, scegliendo di accompagnarlo nel suo percorso di vita. Possiamo dire che, ciò che CYP offre, in tutti i casi, è un’opportunità.
Un’opportunità. Più osservo questo paese e più mi convinco di quanto donare un’opportunità di cambiamento, che poi sarà compito del giovane saper fruttare, possa davvero fare la differenza.
Mi ricorda i piccoli orti che gli studenti coltivano nel giardino della scuola comunitaria di cui ho parlato in precedenza: ogni ragazzo ha il suo, e spetta a lui/lei averne cura. Potranno crescervi erbacce, ci sarà bisogno di vangarlo una, due o tre volte, ma se la cura sarà costante e decisa, i frutti si vedranno e cresceranno sani e maturi.
Potrà accadere che il vero cambiamento non avverrà al primo colpo, ma che richiederà ulteriore tenacia e amore da parte del progetto, responsabilità e determinazione da parte del ragazzo.
Mentre scrivo questo, penso a G., recuperato e tornato in strada tre o quattro volte, perché, si sa, ci sono piante più vulnerabili di altre. Penso a quando eccelleva negli studi, per poi finire su un marciapiede a dormire e distruggersi di colla…sporco, perso, distrutto e abusato. Penso alla gioia provata quando l’ho rivisto tornare, accompagnata tuttavia da una costante diffidenza, ed infine penso ad un momento di condivisione speciale, mentre stavamo cercando degli stracci per pulire le stanze: improvvisamente, è corso nella sua camera a prendere una vecchia maglietta di taglia larga, che di solito usava in strada “come letto” per rifugiarsi. Me l’ha mostrata con orgoglio e ci si è infilato pure dentro. In quel momento, ho solo potuto pensare che là fuori il mondo deve essere talmente fragile e desolante, se una semplice maglietta larga può bastare a farti sentire protetto. Mi riferisco al mondo della strada, ma anche a quello celato dietro ai muri sicuri di alcune case dove si consumano i peggiori abusi e violenze.
Per cui, parlare in questo contesto di infanzia violata e disturbata, di bambini cresciuti troppo presto e deprivati del bisogno stesso di esser bambini, può risultare molto semplice.
Tuttavia, si può parlare anche di resistenza: alle ferite, esteriori ed interiori, agli abusi ed alle deprivazioni, alla fatica del ricostruirsi una vita.
Credo infatti che una resistenza sia possibile, nella misura in cui non rimani da solo ad affrontare problemi così grandi e nella misura in cui un’opportunità ti viene offerta. Poi starà a te farne tesoro e far sì che il sorriso torni a risplenderti sul volto e che gli occhi tornino ad esser svegli, pronti e desiderosi di vita.
Ma in origine è sempre questa che fa la differenza l’opportunità, e Cicetekelo (che in lingua bemba significa “Speranza”) ogni giorno cerca di donarla, nel silenzio di questa Zambia così a Sud, così lontana dai nostri interessi, a volte così desolata ma anche così viva e ricca di una umanità che sa ancora guardare con il cuore.
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