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Caschi Bianchi Zambia

Tra i piccoli invisibili provando ad offrire alternative

Sono illuminati solo dalla luna i ragazzi che vivono in strada a Ndola. Invisibili che, tra ripari di fortuna e colla da inalare, affrontano le notti una dopo l’altra, mentre c’è chi prova ad offrirgli un’alternativa.

Scritto da Clarice Ciarlantini, CB Apg23 a Ndola

L’altra notte ho chiesto di andare a fare unità di strada che, tra il compound di Masala e la Town, va ad incontrare e parlare con bambini e ragazzini che vivono lì. Cosi nel buio di Masala mi sono trovata in un tipico posto da calendario sull’Africa: leggermente illuminata dalla luna di questo emisfero, una collinetta immersa nel buio, piena di charkoal, sacchi di carbone, sorvegliati per tutta la notte da gruppi di persone che per scaldarsi accendono piccoli fuocherelli. Intanto altri raccolgono da per terra i minuscoli pezzetti di charkoal caduti dai sacchi durante la vendita del giorno. Pezzetto dopo pezzetto riusciranno a riempire un nuovo sacco da poter vendere. E’ dietro a questa collinetta che troviamo un gruppo di bambini, probabilmente tra gli otto e i dodici anni. Loro conoscono già Patrick e Max, i due zambiani che lavorano per il progetto e che sono addetti anche all’unità di strada, infatti li chiamano uncle, zio. Il loro obiettivo è proporgli qualcosa di diverso dalla strada, attraverso il progetto Cicitekelo.
Sono li davanti a noi, sotto a un tetto fatto di assi di legno, il più piccolino già dorme per terra, gli altri sono euforici. Non sentono freddo nonostante siano in maniche corte e scalzi. Vengo aiutata subito a capire perchè sono così. Un paio di loro tengono uno straccetto in mano che si portano alla bocca spesso e che si passano fra di loro. Sono imbevuti di colla che inalano dalla bocca. Patrick ci racconta che la colla ha effetti simili alla cocaina: ti senti forte, imbattibile, non senti la fame e il freddo, vai a letto con la convinzione che domani sarà un giorno migliore. La colla intanto distrugge polmoni e cervello e al contrario della cocaina è reperibile facilmente a qualche centesimo.
Di fronte a questa scena gli occhi mi sono riempiti di lacrime e mi sono girata verso Marco, l’altro Casco Bianco che era con me, dicendogli: “non so se ce la faccio”. Dentro di me c’era il senso di paura questi bambini che vivono da soli e non hanno nessuno. Ma in quel momento ci interrompe uno dei bambini che, nonostante la lingua differente, noi con l’inglese e loro con il bemba, cerca di comunicare con noi. E’ incuriosito e interessato a noi, alla presenza di noi musungu, facce pallide, nel loro mondo. Questo mi riporta alla realtà e le lacrime se ne vanno. Qui non sono io quella che ha diritto di piangere, non di fronte a loro, non di fronte a questi bambini che sono qui e mi stanno accogliendo.
Ovviamente è una situazione difficile da accettare e non credo di aver ben capito i motivi per i quali questi ragazzi, praticamente bambini, non riescono ad allontanarsi dalla vita di strada, perché siano così dipendenti dalla voglia di avere qualche soldo in tasca anche se riescono a ottenerlo solo elemosinando. Però sono contenta di essere stata li questa notte, perché come mi ha detto Marco, tornando a casa “se non fossimo andati stasera non mi sarei nemmeno reso conto di tutto questo, perché loro sono davvero invisibili”.
A distanza di alcuni giorni mi rimane la certezza, la voglia e speranza di poter tornare altre notti, anche solo per essere lì a stringere qualche mano, per andare a proporre un’alternativa. E anche se solo uno di tutti quelli che incontrerò facesse davvero una scelta diversa, sarà comunque un qualcosa di grande.

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