Qui in terra di missione ogni giorno succede qualcosa di imprevedibile, qualcosa che ti stupisce davvero. Basta solo aguzzare la vista e anche le piccole cose diventano straordinarie, non servono occhiali magici o uno sguardo particolare, è semplicemente l’Albania.
Andare in visita da una famiglia alla quale mancano i soldi per le spese sanitarie e, spesso, nemmeno il pasto giornaliero è garantito. Recuperare la donna di casa e portarla d’urgenza all’ospedale perché nel pieno di una crisi epilettica che non ne voleva sapere di terminare. Raccomandarle di assumere le medicine a stomaco pieno, pur sapendo che questa donna comunque non ha davvero niente da mangiare.
Visitare una donna che ogni giorno si prende cura dei suoi sette figli cercando di non far mancare loro niente seppur la povertà sia molto presente nella loro vita. Assistere alla sua umiliazione pubblica da parte del marito ubriaco, stare in silenzio senza saper bene cosa dire anche se di cose ce ne sarebbero veramente tante. Salutare i figli e vedere uno dei più piccoli prendere sotto braccio il padre e riaccompagnarlo a casa come se fosse una scena già girata troppe volte, come se si sapesse già che sarebbe andata a finire così.
E ancora…
Incrociare, nel tragitto di ritorno a casa, un padre di sei figli mentre cerca vetro e plastica nell’immondizia per poterlo vendere e ricavare qualche cosa, e leggere nei suoi occhi la rassegnazione.
Questo è stato, per me, fare il Casco Bianco oggi: aiutare queste persone che sono seguite, vedere tutto questo e sapere che, anche se di cose ne sono state fatte, in fin dei conti, sappiamo di fare ben poco.
E non è molto diverso quello che è stato essere Casco Bianco ieri, o il giorno prima ancora, o due mesi fa…
Avanti e indietro per la periferia di Scutari, dove, andiamo ad incontrare le famiglie, ciascuna con la sua storia, con tanto da raccontare, se solo ci fosse qualcuno pronto ad ascoltare.
Per esempio S. è il penultimo della famiglia, due settimane fa gli abbiamo fatto la sorpresa perché era il giorno del suo compleanno. Quando è entrato in casa i suoi occhi si sono dilatati per lo stupore e l’incredulità, poi un pensiero è diventato esplicito “si sono ricordati di me”.
L. è una donna che con coraggio ogni giorno affronta la perdita della sua bambina, porta avanti gli altri quattro figli ormai orfani di padre, lacerati da ferite che si spera con il tempo possano fare meno male.
In una casetta con il tetto in lamiera vivono quattro fratellini che ogni giorno sono costretti a restare soli perché i genitori lavorano tutti e due così da guadagnare quel poco per poter almeno mangiare.
I bambini incontrati durante il campo Fuori le mura organizzato dall’Associazione appena mi vedono mi corrono incontro perché, anche se siamo stati insieme quotidianamente solo per una settimana, per loro significa molto, significa non essere soli ma avere qualcuno con cui giocare o anche solo fare un giro, che regala loro un po’ di sé stesso anche se per poco tempo.
Stare con i più piccoli facendo giochi molto semplici ma che sanno scatenare sorrisi che altrimenti non ci sarebbero state, prendere sottobraccio una donna e incamminarsi insieme su una strada che può sembrare facile ma che non lo è affatto se percorsa da soli. E poi: imitare animali mai neanche sentiti, correre sulle rotaie facendo finta di scappare da un treno in arrivo, mangiare a un tavolo di soli albanesi e trovarsi a parlare di una telenovela indiana, bere tanto di quel caffè durante le visite alle famiglie da avere il tremore alle mani…
Si chiama condivisione, pilastro fondamentale della Comunità Papa Giovanni XXIII ed è una parte importante del progetto di questa zona di missione: condivisione con le famiglie del progetto “Incontriamo la povertà”.
Il progetto consiste nell’offrire un supporto a famiglie bisognose che si trovano alla periferia della città di Scutari: vengono incontrate direttamente, viene effettuata una analisi della loro condizione, vengono valutate le necessità più urgenti, dalla situazione abitativa, alla salute, a necessità legate all’istruzione dei figli.
In seguito s’interviene grazie ad “adozioni a distanza”, con le quali uno o più bambini di queste famiglie, sostenuti da donatori italiani, ricevono risposte ai bisogni e possono migliorare la loro condizione.
Si riescono a garantire alimenti essenziali laddove il pasto giornaliero non sempre è garantito, il pagamento di un furgone che tutte le mattine passa per il villaggio di Bardhj e permette a tutti i piccoli di poter andare all’asilo, di far fronte alle spese sanitarie ed eventuali visite ospedaliere, di provvedere all’acquisto di materiale scolastico.
Oltre a questi, vengono effettuati anche degli aiuti una tantum per provvedere ad esigenze più immediate e a breve termine.
Il progetto “Incontriamo la povertà” si rivolge anche con una attività specifica alle donne albanesi che spesso non riescono a trovare lavoro o ne svolgono uno che non è sufficiente per poter pagare l’affitto o comprare da mangiare.
Il progetto “Colori e stoffe” è parte integrante del progetto principale e cerca di offrire un lavoro alle donne così da poter contribuire alla loro autonomia e a migliorare le loro condizioni di vita.
Lavorano nel confezionamento di vari prodotti tessili come borse, sciarpe, tovaglie, astucci, porta documenti, orecchini, portafogli, porta tabacchi, con stoffe tessute interamente al telaio e confezionate con macchine da cucire, in maniera tradizionale, a domicilio nelle famiglie stesse.
In questo modo la donna ha la possibilità di sperimentarsi e la soddisfazione di aver lavorato per la famiglia, ricevendo un riconoscimento per la sua attività, che è più dignitoso della sola assistenza.
Da cosa hanno origine queste situazioni? Come tutte anche la cultura albanese ha talmente tante sfaccettature che sarebbe impossibile conoscerle tutte.
Però il contesto sociale non aiuta per niente: la donna è considerata inferiore e per questo motivo è destinata a vivere in casa e occuparsi esclusivamente dei figli, senza chissà quale prospettiva futura; l’uomo deve tenere in alto l’onore che spesso diventa più importante della vita stessa, tanto da sfociare nelle vendette di sangue.
La povertà in Albania è già molto presente, supera sempre più i confini e i bambini si ritrovano con un futuro che non lascia spazio alla realizzazione di sogni.
Non vedere sarebbe più facile, anche se dubito che un cieco la penserebbe allo stesso modo.
Essere Casco Bianco in questi mesi mi ha fatto capire che oggi non sono stata inutile. Non ho cambiato le sorti di queste persone ma sono stata con loro e questo vale molto di più! Non è semplicemente fare la carità, è il poter dire: “io ci sono, camminiamo insieme”.
Mi ha colpito un sacco una visita che ho fatto nella quale i bambini erano un po’ spaventati perché il padre aveva bevuto parecchio. In quella confusione mi sono voltata e in quel momento uno di loro mi ha guardato e mi ha regalato un sorriso.
Non un sorriso di quelli che si vedono nelle pubblicità, neanche quelli che si danno così “tanto per”. Era solo per me. Sincero. Come a dire “io sorrido anche se mi trovo in questa situazione, anche se probabilmente avrei poco da esser felice oggi”, quasi a dire “te lo dono con il cuore, perché tu sei qui con me”.
Questo è essere un Casco Bianco. E penso sia un grande dono, perché quando vedi un sorriso così, non puoi far altro che dire “Grazie”.
Allora dai, sorridi ancora.
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