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Caschi Bianchi Cile

Ho ancora sangue mapuche – Uno sguardo d’insieme

“La nostra esperienza nel profondo sud del Cile, nelle terre ancestrali della nazione Mapuche” – Terza parte

Scritto da Michele Casalboni, Marja Crevani e Simone Curtino, Caschi Bianchi Apg23 a Santiago del Cile

In una sentenza della Corte Interamericana dei Diritti Umani (31/08/2001, Comunidad Mayagna de Awas Tingni vs. Nicaragua ) si legge: “[…] La stretta relazione che i popoli indigeni mantengono con la terra deve essere riconosciuta e compresa come base fondamentale delle loro culture, della loro vita spirituale, della loro integrità e sopravvivenza economica. Per le comunità indigene la relazione con la terra non è meramente una questione di possessione e produzione, quanto un elemento materiale e spirituale del quale devono godere pienamente, incluso per preservare la loro eredità culturale e trasmetterla alle generazioni future”.
L’appartenenza e lo stretto legame con la newen mapu (forza della terra) dei mapuche è qualcosa di estremamente concreto e allo stesso tempo semplice, è un modo genuino di vivere la vita attraverso una stretta relazione con la madre terra. Significa vivere in sintonia con questa senza depredarla, bensì amandola, curandola, rispettandola.
Rivendicazioni di terra e territorialità (intendendo il territorio come spazio vitale, in senso prima culturale che biologico) che si intrecciano, si sovrappongono, emergono a seconda delle sensibilità delle diverse comunità. La lotta del popolo Mapuche non è tuttavia una guerra romantica per la ricostruzione in vitro di un’identità lontana, nè ideale inseguimento di un’età dell’oro pre-ispanica, ma resistenza di popolo e affermazione di diritti fondamentali: in primis acqua e terra, risorse indispensabili per un’economia di sussistenza come quella della famiglia Marillanka-Tropán. Lotte che in molte occasioni si intrecciano con quelle dei contadini cileni, dei pescatori che vedono le loro acque contaminate, degli operai delle industrie forestali, di chi quotidianamente resite al modello del liberalismo selvaggio.
Esemplare è il caso delle mono-coltivazioni di Eucalipto e Pino nelle regioni che vanno da O’Higgins a Los Ríos. Nel 1974, con una Legge della Giunta Militare pinochetista (DL 701/74) ancora in vigore, lo Stato cileno diede il via libera alle industrie del legno e della cellulosa per “riforestare” vaste zone di quello che era una volta territorio Mapuche. Sono alberi che hanno bisogno di molta acqua, che viene inevitabilmente sottratta agli appezzamenti vicini, e con un polline molto forte: il danno ambientale e sociale è immenso. Le popolazioni sono costrette a spostarsi, vedendosi sottrarre acqua e fonti di sostentamento, le regioni si impoveriscono e l’ecosistema subisce profondi cambiamenti. Ci sono comunità Mapuche, nelle province di Malleco, Cautín (IX Regione), Arauco (VIII), che hanno optato per la scelta della resistenza attiva contro gli abusi delle imprese forestali (controllate da potenti gruppi economici come Matte e Angelini) e dello Stato cileno. Il Coordinamento Arauco Malleco, fondato nel 1998, porta avanti una delle analisi più lucide e radicali sulla questione Mapuche. Pur riconoscendo la profonda eterogeneità che caratterizza le comunità in termini di sensibilità e coscienza politica, vede nella difesa delle loro terre la difesa di un “territorio” ben più ampio: quello ancestrale del proprio popolo, spazio vitale da cui proviene e in cui si riproduce ciò che è “Mapuche”.
In questo Cile ultra-liberale, opporsi agli interessi delle grandi imprese spesso significa arrivare allo scontro con lo Stato. Le risposte governative sono su due fronti: da un lato, adottando misure sempre più repressive (come l’applicazione della Legge Antiterrorista varata durante la dittatura, modificata solo negli ultimi mesi); dall’altro, prendendo provvedimenti paternalisti e assistenziali, col fine sotteso di placare il malcontento del popolo Mapuche. Sussidi, agevolazioni, progetti puntuali e a breve termine, non sono che una forma moderna e implicita di colonialismo: creano dipendenza del popolo Mapuche dallo Stato cileno, mentre le imprese forestali continuano a fare profitti sulle loro terre. Non è un caso se le regioni del Bio-Bio e dell’Araucania, ad alta concentrazione Mapuche, sono anche le più povere del Paese. In un comunicato del 7/9/2014 della Comunità Rankilko (zona di Malleco), si legge: “I Mapuche non sono poveri per diritto naturale. Abbiamo un territorio ricco di risorse naturali del suolo e del sottosuolo, però non le possiamo sfruttare perchè lo Stato cileno ci ha alienato le ricchezze e ci ha convertiti in miserabili.”


A loro modo anche Victor a Anita resistono, la vita del campo non è facile, cibo e acqua non sono beni scontati. Come nella vita contadina di una volta, non c’è tempo per la televisione, né per la radio. La giornata è scandita dai bisogni della terra e degli animali, bisogni primari ed essenziali, dai quali dipende se il cibo arriverà sulla tavola il prossimo mese. Victor questo lo sa bene e dunque, come impresario di se stesso, cura tutto nei minimi dettagli. È la natura che decide cosa darti e cosa toglierti. Un pollaio danneggiato e un puma affamato possono rovinarti il duro lavoro di mesi. La generazione degli smartphone ha dimenticato tutto questo: l’essenzialità dei bisogni primari della vita. Senza cercare inutili romanticismi e sterili richiami alla vita di una volta, è semplicemente stato interessante calarsi per qualche giorno nella vita di due campesinos mapuche. È ora di tornare nella nostra Santiago, la Santiago delle contraddizioni, tra inquinamento, cemento, traffico e periferie fatiscenti.

Il nostro impegno non si ferma. Mari Chi Weu!!! (grido di battaglia Mapuche).


Parte 3 di 3

Leggi la prima parte Ho ancora sangue mapuche – Conflitti secolari: la storia della regione Villarrica
Leggi la seconda parte Ho ancora sangue mapuche – La nostra esperienza nella Comunità Josè Manuel Tropàn

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