• Foto di Michele Pasquale, Casco Bianco Caritas Italiana in Guinea

Caschi Bianchi Guinea

Leaders religiosi,tradizionali e saggi insieme per la pace in Guinea – Le voci dell’imam e del sacerdote

Nel contesto multiculturale della regione forestale di N’Zérékoré leader religiosi e saggi hanno deciso di unirsi per diffondere un messaggio di pace e riconciliazione

Scritto da Michele Pasquale – Casco Bianco Caritas Italiana

Il 20 febbraio 2014 si è svolto in un quartiere di N’Zérékoré, capoluogo della regione forestale della Guinea, un incontro dei cittadini con rappresentanti delle autorità religiose nel quadro di un’iniziativa di pace e riconciliazione promossa dalla Caritas locale (OCPH, Organisation Catholique pour la Promotion Humaine) in collaborazione con CRS (Catholic Relief Services) e UNDP (United Nations Development Programme). 

La regione forestale ed in particolar modo N’Zérékoré sono un vero e proprio mosaico etnico, religioso, politico e culturale e, nell’instabilità politico.-sociale del paese, costituiscono un focolaio di conflitto da non sottovalutare, spesso latente, ma pronto ad esplodere in episodi di grave violenza. Ultimi, quelli del 14 e 15 luglio 2013, che, secondo fonti delle Nazioni Unite e della Caritas locale, hanno provocato circa 100 morti, centinaia di feriti e circa 4000 sfollati nei campi militari. Violenze di natura etnica, che in questo caso hanno però preso di mira anche simboli religiosi: moschee, templi protestanti e chiese cattoliche. Si indaga ancora alla ricerca della verità, ma è chiaro come tale tensione necessiti interventi rapidi, alla base, per costruire una pace sociale difficile, in un contesto di povertà e squilibri sociali. In molti quartieri di N’Zérékoré vivono quotidianamente fianco a fianco musulmani, cristiani, animisti nonché le etnie Konianké, Malinké, Peulh, Soussou, Toma, Guerzé (Kpèlè), Manon, Kissien. In questo contesto multiculturale, leader religiosi e saggi hanno deciso di unirsi per diffondere un messaggio di pace e riconciliazione. Un Prete cattolico, Abbé Henry Loua, un Iman musulmano, El Hadj Ibrahima Sacko, un Pastore protestante, Pasteur Maurice Zogbelemou, propongono un punto di vista avanzato con un fine comune: dialogare insieme, fianco a fianco, andando oltre le differenze religiose, etniche, storiche e politiche. A queste figure si aggiungono la presenza di un mediatore culturale, col compito di presentare metodi di prevenzione dei conflitti e risoluzione pacifica degli stessi, i rappresentanti della Caritas locale, e un traduttore locale. L’iniziativa prevede anche la pubblicazione di messaggi radiofonici e, sotto la responsabilità delle guide religiose e comunitarie, la formazione di 100 “ambasciatori di pace” tra i giovani della città, ragazze e ragazzi, con il compito di prevenire focoali di conflitto e essere “sentinelle di pace”.
Nell’incontro svoltosi in uno dei quartieri “caldi” di N’Zérékoré, di fronte al cerchio degli attivi partecipanti tra la popolazione, risuonano le parole del giovane Imam El Hadj Ibrahima Sacko sui temi educazione, religione, diversità: «Dobbiamo educare i nostri figli sulla giusta via prendendo come riferimento le figure del passato. Facciamo molte parole, troppe parole, ma non le ascoltiamo più. Musulmani e cristiani hanno la necessità di conoscere la religione, oggi questa conoscenza si è persa. Dobbiamo ascoltarci, rispettarci […] accettare la diversità, anche all’interno di una stessa famiglia tre figli hanno tre caratteri diversi, sta al capofamiglia saperli dirigere. Un Guerzé non diverrà mai un Malinké e viceversa, ma per costruire la città dobbiamo agire insieme». L’esempio dato in prima persona è chiaro: «OCPH, un’organizzazione cattolica, ha organizzato questo evento cui partecipo anche se non sono cattolico. Ciò perché si occupa di promozione umana, per tutti, non solo di una parte. Ogni volta che sono invitato in chiesa ci vado senza problemi e lì mangiamo insieme, stiamo insieme, noi siamo ambasciatori del creatore tra le creature.Sta a Dio giudicare, ognuno ha la sua libertà di scelta, anche per la propria religione».
Abbé Henry Loua concorda su molti punti cruciali: «Non possiamo parlare di riconciliazione senza parlare di verità. La verità, nel quadro del post-conflitto, per me è capire cosa è successo, perché si sono creati degli scontri e cosa fare per creare un perdono». Lo stesso prete cattolico inquadra la complessità della situazione: «Ci sono 3 livelli principali di regolazione del conflitto. L’educazione alla non-violenza nelle scuole ovvero la creazione di una responsabilità civica nei bambini per il rispetto degli altri, al di là delle differenze. Secondo aspetto: imam, pastori e preti devono farsi portatori di messaggi comuni, presi dalla Bibbia e dal Corano sul tema della non-violenza. L’ultimo livello riguarda il ruolo di responsabilità degli agenti di giustizia sociale, che sono al di sopra di tutte le parti». Sulle differenze sociali, così si pronuncia: «Non tutti possono essere cristiani o musulmani. Comprenderlo è questione di cultura personale. Ci vuole flessibilità nel capire che non tutti abbiamo la stessa formazione e che questa deve continuare per poter prevenire i problemi. Per me è già un grande passo essere riuniti e lavorare insieme». Sulle possibili soluzioni, infine: «Dire poche semplici parole, “mi dispiace”, è un inizio. Può sembrare semplice, ma non lo è affatto. Riconoscere i propri torti è molto difficile, rifiutare è un rischio molto forte. Può essere una grossa occasione per ricominciare. Riunirsi e parlare in quartiere è un ottimo inizio. Tutto il nostro impegno si fonda su questo punto: non si sono errori che non si possono regolare, aggiustare. Ci vuole però l’implicazione di tutte le parti in gioco, dalla scuola alla chiesa alle autorità al quartiere».
L’approccio inclusivo e la valorizzazione di metodi “tradizionali” è un’altra strategia promossa in questo ambito. Arbre à palabre è una riunione col fine di risolvere un conflitto interno la comunità, una tavola rotonda con presentazione di diversi punti di vista per prendere una decisione in merito. Un’altra pratica è quella denominata cousin à plaisanterie: per tradizione la soluzione di un problema viene affidata attraverso la richiesta di cugini che, presentando simbolicamente delle noci di cola, ricordano l’importanza dell’alleanza famigliare che li lega a chi ha subito un torto. Appellarsi a quel legame è sufficiente per considerare un problema anche molto grave risolvibile in quanto passeggero e “terreno”, pensando a ciò che verrà e non a ciò che è stato, lasciandosi alle spalle ogni rancore.
L’obiettivo perseguito è collaborare insieme al fine di rafforzare l’unità nazionale attraverso la promozione culturale, religiosa, tradizionale, assicurando un contatto tra il carisma delle autorità religiose – molto rispettate – e l’eterogenea popolazione locale. Riprendendo le parole del giovane Imam rimane chiaro come la riuscita di questo processo sia possibile solo attraverso la volontà personale di ciascuno. Da questo presupposto parte la sua richiesta di ascolto che suona come un ritornello: «occorre dire la verità […] occorre cercare la verità. Je vous en prie, je vous en prie (vi prego, vi prego)». In accordo, Abbé Henry Loua ribadisce: «Non possiamo parlare di riconciliazione senza parlare di verità».

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